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Return to Monkey Island

Uno shock potenzialmente salutare

by Diduz

È successo. Dopo uno pseudo-scherzo (sul quale i fan andavano comprensibilmente cauti), il giorno 4 aprile 2022, una data che probabilmente diverrà Festa Nazionale nell'area delle Tre Isole, Ron Gilbert ha annunciato l'uscita entro la fine dell'anno di Return to Monkey Island, in altre parole quel "Monkey Island mai fatto" sul quale abbiamo riflettuto ed elaborato teorie per letteralmente 30 anni. Precisamente da quando Ron, dopo aver firmato in sequenza le pietre miliari The Secret of Monkey Island (1990) e Monkey Island 2: LeChuck's Revenge (1991), lasciò la LucasArts nel 1992 per fondare la Humongous Entertainment, mentre il marchio passò per altre mani: senza di lui furono creati The Curse of Monkey Island (1997) e Fuga da Monkey Island (2000) alla LucasArts, poi Tales of Monkey Island (2009) presso la prima Telltale Games.
Return to Monkey Island sarà sviluppato dalla Terrible Toybox di Gilbert, finanziato e pubblicato dalla Devolver Digital, su licenza della Lucasfilm. Le informazioni e le immagini che seguono provengono dal sito ufficiale e da tre interviste concesse ad Adventuregamers, The Verge e Ars Technica. Qui di seguito il primo teaser pubblicato ad aprile e il trailer vero e proprio diffuso a fine giugno!
[ARTICOLO AGGIORNATO IL 30-6-2022]

Mi sembra ovvio

Ci sta che il "Monkey Island 3 di Ron Gilbert" venga annunciato come un Pesce d'Aprile. In primis è perfettamente coerente proprio per i fan italiani, che da trent'anni stanno ancora telefonando a Pergioco e Queen Computer per sapere quando arrivi Monkey Island 3: May the Monkey Be With You (grazie ad Alessio Formenti per aver restaurato in HD la pagina dell'ancora magistrale pescione di The Games Machine!). Ricordate: arriva "settimana prossima". Sempre.
Scherzi a parte, non si può parlare di Monkey Island e di Ron in generale mettendo da parte gli scherzi. Nel climax di Secret scoprivamo di non servire a nulla nell'economia della trama, e venivamo pure presi in giro con uno "Spegni il computer e vai a dormire!" Alla fine del secondo atto, beh... quello sarà pure un mistero, ma non per questo perde l'aura della bella, potente e sonora pernacchia. Davvero potevamo immaginare che l'annuncio di un Return to Monkey Island sarebbe stato un comunicato stampa? Non si poteva partire con un piede migliore. E qui non scherzo. O magari un po' sì: guai a non farlo!

Onore al merito

Mi piacerebbe scrivere che sia una mia vittoria, ma parlerei in quanto giornalista, non fan. Rivendico infatti con orgoglio di aver colto avvisaglie di quanto stava per accadere, verso la fine del 2020, parlandovene il 14 gennaio 2021 su Facebook e poi sul sito. Anni trascorsi ad allenare la lettura tra le righe hanno dato i loro frutti, mi godo il momento in quel senso, però non è davvero il mio. Non posso mentire. Come premessa doverosa a quel che segue in questo articolo, e come ho avuto modo di dire a più riprese negli anni, io non ho mai atteso questo gioco e non ne ho mai sentito la necessità: non avevo mai creduto che realmente esistesse all'epoca della "cesura", nei primi anni Novanta, men che mai lo credevo sensato dopo aver giocato The Cave e Thimbleweed Park, che avevano confermato la predilezione di Gilbert per la sospensione narrativa inquietante alla David Lynch. In questa ottica, per me LeChuck's Revenge finiva eccome. A modo suo, ma chiudeva benissimo.
No, questo è il momento di chi ci ha sempre creduto: senza titubare mai, senza mettere in dubbio mai una fede incrollabile.

Se vi riconoscete in questo identikit, cavolo: questo è il vostro momento. Dubito abbiate bisogno che ve lo dica, ma gioite: guardetevi allo specchio e godete. Valorizzatevi come non vi siete mai valorizzati. Un sequel 30 anni dopo. Voi, ragazzi e ragazze, siete il massimo. Non sapete nemmeno quante remore abbia avuto nel momento in cui scrissi di quelle sensazioni, proprio nel terrore di urtare una sensibilità enorme sull'argomento, sempre più incredibilmente evidente negli ultimi giorni. Ho tirato un respiro di sollievo, perché sotto sotto invidio questo trasporto: nella vita serve in generale, ed essere corresponsabile di un attentato a una qualità tale mi avrebbe fatto davvero sentire in colpa. Phew!
Sopportate la nostra razionalità. Ma non la liquidate!

Prese di coscienza

Perché su una cosa noi "scettici" avevamo ragione, e l'annuncio shock l'ha confermato. Quando Ron scriveva (anche in una dichiarazione di intenti del 2013 molto discussa in queste ore) che non avrebbe fatto un nuovo Monkey Island senza i diritti di Monkey Island, io trattenevo a stento un mio esasperato sconforto. Era un'idea totalmente utopistica. Sapevo che lo sapeva anche lui, ma sapevo anche che - pure per una certa superficialità di terminologia della quale io non mi sento al di sopra - non tutti i fan capivano i termini della questione. Ron voleva ottenere dalla Disney (dal 2012 proprietaria della Lucasfilm intera) la proprietà del marchio di Monkey Island. Ammesso che avesse avuto la cifra necessaria a comprarlo, la Disney non vende proprietà intellettuali: la sua missione è opposta, semmai le fagocita. La premessa di cui parlava era un paradosso logico invalicabile. Stremante, perché non era assolutamente necessario possedere i diritti del marchio per fare un Monkey Island! Lo sapevamo per certo, altrimenti i Telltale non avrebbero mai potuto realizzare e pubblicare Tales of Monkey Island! "Bastava" una licenza, cioè l'affitto del marchio a scadenza, eventualmente da rinnovare.

Capivo benissimo Ron sul piano emotivo: chiedere una licenza per qualcosa che hai creato tu stesso è difficilissimo da mandar giù, come lui stesso spiegò. Una licenza implica un pagamento una tantum e la cessione di una buona percentuale dei guadagni per copia al detentore del marchio: pagare per una cosa che senti tua è strano, per quanto regolare sul piano legale.
Ma così va il mondo. Ron Gilbert non ha mai avuto quei diritti, nemmeno quando la Disney era ben lontana dalla Lucasfilm: creò quei giochi come "semplice" impiegato, erano di proprietà dell'azienda. La sua è stata una significativa crociata di principio, che a un certo punto si dev'essere dissolta. Avevo un'enorme tentazione di fare lo psicologo della domenica, leggendo dentro di me: la pandemia e il lockdown hanno fatto rivalutare a molti il valore del tempo, perso e guadagnato. La mia era solo retorica, perché quest'idea a quanto pare esisteva ancora prima del "regalo" di Ron durante le nostre clausure forzate, Delores: è nata da una conversazione tra Ron e Nigel Lowrie della Devolver Digital a uno degli ultimi PAX pre-pandemia nel 2019. C'era da parte loro la volontà di finanziare un nuovo Monkey tramite un contatto alla Lucasfilm Games, ma Gilbert ha preso tempo prima di accettare la proposta, trascorrendo un weekend con Dave Grossman per capire se davvero si potesse trasformare un'utopia in realtà. Con la forza di contraddirsi, come evidenziato dall'autoironia della battuta stroncata di Murray nel teaser "Ma Ron Gilbert aveva detto che avrebbe fatto un Monkey Island solo se-"!
Erano anni che dicevo a me stesso: se ci tiene davvero a fare un altro Monkey, capitolerà. Si organizzerà per chiedere la licenza. Non era detto che la "Disney" (dove con "Disney" intendiamo la divisione Lucasfilm e la sottodivisione Lucasfilm Games, in realtà) si opponga per principio. E infatti...

Occhio al quadro d'insieme

Forse di lui si parlerà poco in questo turbinìo di emozioni, ma darei anche a Craig quello che è di Craig. Quando la Disney chiuse la LucasArts nell'aprile 2013, sapeva che doveva mantenere almeno qualcuno che ne sapesse di videogiochi, per gestire le licenze di Star Wars & C., per progetti da affidare a editori e sviluppatori. Per quello che a questo punto definirei felice destino, in quest'ufficio simbolicamente battezzato "Lucasfilm Games" (nome impegnativo!) è rimasto anche il capo-progetto della The Secret of Monkey Island Special Edition (2009) e Monkey Island 2 Special Edition: LeChuck's Revenge (2010), cioè Craig Derrick (che fece anche da tramite coi Telltale per Tales nello stesso periodo). Mi pare evidente, leggendo sul suo profilo Twitter, che è stato un ingranaggio tutt'altro che secondario in questo terremoto. Leggo cose come:

Questo è il culmine di un piano che partì con la prima Special Edition di Monkey Island. Ci sono state diverse false partenze, ma alla fine ci siamo! [...] I Telltale volevano chiamare il loro gioco "Return to..." ma glielo negai, in previsione di QUESTO momento. [...] Sai meglio di me che lungo viaggio sia stato. Sono felice che finalmente siamo riusciti a farlo! [in risposta a un tweet di congratulazioni di David Nottingham, nel team LucasArts negli ultimi anni, ndDiduz]

Capito? Il quid nel quale molti di noi ed ex-Lucas continuano a credere è sopravvissuto: alla fine del periodo d'oro delle avventure grafiche dopo la cancellazione di Sam & Max Freelance Police nel 2004. Alla dissoluzione di uno sviluppatore storico come la LucasArts. Alla cessione dell'intera azienda a una major esterna. Non ho amato particolarmente le Special Edition, ma sono le persone non celebrate come Craig Derrick che a volte tengono il forte: anche se il suo account trabocca di Star Wars, che giustamente adora (non sarebbe rimasto lì altrimenti!), non ha dimenticato lo sguardo d'insieme. Ha lavorato dietro le quinte senza capricci, con la forza della pazienza.

Perché la "Disney che ignorava le avventure grafiche Lucas", l'ho detto altre volte, era uno stereotipo non molto credibile: chi aveva autorizzato la Collection di Limited Run Games? Chi aveva dato alla Double Fine la licenza per i remaster di Day of the Tentacle, Full Throttle e Grim Fandango tra il 2015 e il 2017? Da una settimana a questa parte, le parole del presidente della Lucasfilm Games, Douglas Reilly, pronunciate a inizio 2021, sono ancora più concrete: "Progetti che sono più rappresentativi dell'eredità della Lucasfilm Games della quale stiamo ora cercando d'essere all'altezza." Il miracolo di quel che fu il team Lucas tra gli anni Ottanta e Novanta non si può ricreare a tavolino, ma questa formula, l'ufficio licenze slegato da obblighi con specifici sviluppatori ed editori, è abbastanza flessibile da portare a casa dei risultati che non siano solo Star Wars Jedi Fallen Order con l'EA. Oltre ai miracoli, esistono anche il rispetto della propria storia e la dignità creativa. Posso dirlo? Era ora, porca vacca!

Forse meno sorprendente è che la scintilla sia nata dalla Devolver Digital come finanziatore e publisher del progetto: per le ragioni su elencate, è comprensibile che Ron a questo giro non si autofinanzi e non si autodistribuisca, come accadde invece con Thimbleweed Park. Le dinamiche sono complicate, i soldi necessari più del solito. La Devolver basa la sua identità sull'aderire a quella degli sviluppatori più creativi: mecca degli amanti dell'arcade, non è legata ad alcuno stile visivo specifico. Pur non essendo nel loro target principale, sono incappato negli anni in cinque loro produzioni più affini ai miei gusti: il visionario action Ape Out, l'omaggio alle avventure testuali di Stories Untold, l'avventura narrativa con i drink come interfaccia (giuro!) The Red Strings Club, l'allucinato punta & clicca in pixel-art Dropsy, senza dialoghi scritti come l'antico Curse of Enchantia. Al di là di questi, mi rende piuttosto fiero che il nuovo Monkey sia prodotto dalla casa che ha reso possibile un titolo che pochi dimenticano una volta provato, il puzzle game (ma definirlo così è limitativo) The Talos Principle, una delle mie consolazioni migliori durante il lockdown.

Il team di Return to Monkey Island

Per costruire un'impresa così titanica, in totale segreto nell'arco di due anni, Ron ha gettato solide fondamenta. Sceneggiatura e design sono a cura di lui stesso e di un ritrovato Dave Grossman (part-time con la Earplay, immagino). Chiunque leghi l'originale bilogia anche a Tim Schafer, salvo auspicabili sorprese-cammei, sarà triste di sapere che non è della partita: il motivo della sua assenza, fortunatamente, con la tristezza non ha proprio nulla a che fare. Io sono molto contento per Dave: una decina d'anni fa ospitai con gioia la traduzione di un suo arguto saggio (col suo permesso), che potrebbe tranquillamente essere il sottile complemento alle famose "Regole di Ron".

Capo-programmatore è David Fox, ormai complice fisso della Terrible Toybox di Gilbert, dopo Thimbleweed e Delores. Quest'uomo di 71 anni si aggiorna tanto da poter ancora contribuire attivamente sul piano tecnico a un progetto interattivo, è tra i pochi veterani dell'industria che non si sia ritirato o non si sia rassegnato a un ambito "serio", e per giunta ha passato gli ultimi giorni a rispondere via social al maggiore numero possibile di fan, gasato. Se penso che a 45 anni a volte mi sento vecchio, guardo lui (che ho avuto la fortuna di conoscere di persona) e ricavo la preziosa consapevolezza di essere un cretino. Mi fa sentir tale per la stessa ragione pure Noah Falstein, che ha confermato di aver giocato e dato feedback su una versione preliminare del gioco! David ha aggiunto di essere anche il responsabile dell'implementazione delle musiche.
Lupus in fabula: per la colonna sonora di Return si riforma il terzetto Michael Land-Peter McConnell-Clint Bajakian, il "trio delle meraviglie sonore" dell'epoca d'oro LucasArts, dietro proprio a Monkey 2. A dirla tutta, i tre avevano fatto le prove generali della reunion nella mente dello Psicoré in Psychonauts 2 l'anno scorso. Il loro ideale erede (almeno io l'ho sempre visto in tal senso) Jared Emerson-Johnson ha comunicato di aver dato il suo contributo alla produzione musicale dei brani!

Per la sesta volta, contando le Special Edition dei primi due capitoli, Curse, Fuga e Tales, torna al doppiaggio di Guybrush il buon Dominic Armato, già entusiasticamente al lavoro al leggio: Dominic ha detto che, nei tempi che stiamo vivendo, leggere di Monkey Island e contribuire a un Monkey Island è una boccata d'ossigeno. Come darti torto, oh mio omonimo? Dominic e tutto il cast (compresi Alexandra Boyd per Elaine, Wally Wingert per Herman Toothrot e Rob Paulsen per la vedetta di Mêlée) sono diretti da Khris Brown: sì, proprio "Chester", che chiamavate per i suggerimenti su Dinky Island. Il team comprende qualche elemento post-Lucas ma originario della cittadina di Thimbleweed Park: la producer Jenn Sandercock, il tester Robert Megone. I grafici di Thimbleweed Mark Ferrari e Octavi Navarro hanno confermato via Twitter di non essere della partita, facendo gli auguri a Ron e al resto della squadra. Idem per Earl Boen, voce originale di LeChuck: ormai in pensione, ha dato la sua benedizione al recasting del personaggio.
Importante: uno dei traduttori italiani è Cristiano Caliendo detto Gnupick. Ci conosciamo ormai letteralmente da 20 anni, tanto che persino qui su Lucasdelirium c'è una sua traccia vintage, risalente all'annus horribilis 2004. Professionale all'inverosimile, Gnupick è riuscito a mantenere segreta la cosa fino all'annuncio, raddoppiandomi la festa. Cristia', ma chi te lo doveva dire? Anche se, a onor del vero, sarà la seconda volta che apparirai nei credits di un manuale al fianco di Grossman... (questa è difficile, la capiranno solo l'interessato e Federico Maggiore!).
Tra i collaboratori nuovi che si sono fatti avanti, c'è da evidenziare il direttore artistico Rex Crowle, ex dei Media Molecule, in proprio anche designer di Knights & Bikes, l'ultimo gioco patrocinato dalla Double Fine di Schafer prima dell'acquisizione Microsoft. Il fattore grafica mi dà un assist per un passo avanti in quest'analisi... ed è il momento in cui devi ricordarti che a Ron non piace mai vincere facile.

Tripli salti mortali carpiati

Qui non c'è molto da tirarsela, nemmeno con tutte le indagini possibili avrei immaginato che il nuovo Monkey Island di Ron Gilbert si sarebbe presentato così. Credo che il 99% di noi avrebbe scommesso su un look in pixel-art sulla scia di quello visto in Thimbleweed Park (non proprio identico, dopo Delores per esempio non mi aspettavo già più l'interfaccia con i verbi in vista in basso). Avevamo buone ragioni per pensarlo, visti gli annunci di lavoro della Terrible Toybox di un paio di anni fa, riguardanti un pixel artist, e la citata dichiarazione d'intenti del 2013, nelle ultime ore peraltro ritoccata con un beffardo disclaimer: meglio non prenderla come canone, ci suggerisce Gilbert, pena una valle di lacrime. Ho sempre trovato piuttosto sterile il tentativo di scindere la forma dalla sostanza, per cui bisogna chiedersi cosa implichi non solo un look cartoon HD con animazioni in Spine (sicuramente scelto per garantire fluidità limitando i costi), ma anche la presenza programmatica di Murray il teschio parlante.

Il chimerico progetto del "Monkey Island 3a" era stato sempre descritto da Gilbert come un "what if", una vera DeLorean che, prendendo le mosse da un'auspicata rivelazione del "segreto", avrebbe riportato i fan del suo approccio originale all'epoca in cui la sua visione della saga si era interrotta. Per giunta non curandosi troppo dei giochi non firmati da lui, venuti dopo. Indiscutibilmente, guardando il teaser, Return to Monkey Island smentisce quasi tutto. Ammesso che il teaser sia rappresentativo dell'intera esperienza (non potendo escludere momenti metalinguistici stile questo), siamo di fronte a un gioco indie contemporaneo, oserei dire di tendenza. Murray, come gli appassionati sanno, è un personaggio introdotto nel Curse di Jonathan Ackley & Larry Ahern, quindi non creato da Ron, e il tilt è servito: non solo Ron non si chiama più fuori dalla storia "spuria" del franchise, addirittura la benedice! Per giunta, a domanda precisa di fan che avevano ipotizzato una lettura "metaforica" della scenetta (con Murray appunto "eliminato" dalla piratessa), Gilbert ha risposto via Twitter e nelle interviste che non solo Murray nel gioco c'è ("eccome"), ma che l'intero Curse e tutti gli altri Monkey non suoi sono canone... e che hanno riposto molta attenzione alla cosa! Ron e Dave hanno anche provato inizialmente a ignorarli, ma hanno gettato la spugna: i giochi non loro sono "troppo amati" (tetuali parole) per poter essere ignorati. Elementi fondamentali di quelle storie non saranno cancellati (lo scontro Elaine-Morgan di Tales of Monkey Island citato nel trailer è pure eloquente), ma qualche dettaglio secondario potrà essere contraddetto in funzione della storia di Return, senza ossessionarsi troppo con la continuity più minuziosa.

Non ho mai visto Ron fare qualcosa per caso in tutta la sua carriera, dubito cominci ora: l'iniziale latitanza di Guybrush dal materiale promozionale mi fa pensare che tutto il team fosse ben conscio dello shock che un approccio del genere avrebbe causato... e si volesse procedere un passo alla volta. Niente in questo progetto sarà una scelta a cuor leggero, eppure avvisaglie non sono mancate negli anni: Gilbert riteneva Curse un'ottima avventura (salvo per il matrimonio finale tra Guybrush ed Elaine), e non si opponeva per principio all'uso futuro di personaggi non suoi, qualora li avesse trovati riusciti. Qui però si respira un'aria ben più radicale, non a caso molti si stanno chiedendo se quello che ci aspetta sia un "Monkey Island 3a" o piuttosto un sesto capitolo. È presentato ufficialmente come "immediatamente successivo a LeChuck's Revenge", perciò una presenza come Murray dovrebbe essere... solo una licenza poetica? Troppo facile.

Seguire Gilbert per me non è mai stato noioso, proprio per le sfide che si è sempre imposto: leggere l'avventura grafica con le regole del platform (The Cave), provare a ibridarla con l'action-rpg (DeathSpank), costruire un gioco non in nome della nostalgia ma proprio sulla nostalgia (Thimbleweed Park). Salvo smentite ottenute giocando, un Return to Monkey Island così vuol dire che Ron non vuole dividere il fandom e non vuole tifoserie, ma alza la posta: ripossiede il marchio (concettualmente, non legalmente), sintetizzandolo per intero sotto la sua benedizione e attualizzandolo!
Ti aspettavi l'accetta, ti ritrovi l'abbraccio.
Se c'è una cosa che ho capito di quest'autore, seguendolo nelle sue riflessioni negli anni, è che non sopporta di essere prevedibile. Perché dovrebbe iniziare a esserlo proprio ora, tradendo se stesso proprio in un'occasione così nodale? Sempre tenendo a mente che stiamo costruendo ipotesi su poco, lo vedo paradossalmente coerente. Oltretutto, rivendicazioni personali a parte, immagino sia professionale tanto da capire che, per un'intera generazione arrivata dopo la mia, Curse è stato l'imprinting originale della saga ed è ancora oggi apprezzatissimo. Scendere a patti con la sua popolarità potrebbe essere più saggio che cercare di aggirarlo.
Ma quella grafica ci piace? Che dirvi? Al primo impatto non la trovavo abbastanza distintiva e continuo a pensare che sia forse troppo in linea con un approccio da moderno cartoon televisivo e con la produzione indie media. Mi piacciono fondali e colori, mi convincono molto alcuni personaggi (Elaine molto simpatica, un riuscitissimo Wally, diversi comprimari), palla al centro per LeChuck... non mi piace Guybrush. Sono sicuro che alla fine mi abituerò come accadde con lo spilungone dalle gambe a spillo di Curse, però la sua grottesca deformità mi richiede quella stessa fatica, se non maggiore. Non è questione di nostalgia. Già all'epoca scrissi che preferivo le proporzioni più umane di Guybrush nell'odiato Fuga a quelle che aveva in Curse, e il Guybrush di Tales non mi ha mai respinto come ha fatto questo alla prima visione del trailer. E ho citato due interpretazioni caricaturali del personaggio, non sto scomodando lo stile relativamente realistico semivolontario dei primi due capitoli, lì si entra in un altro discorso. Meglio operare paragoni in un contesto tecnico-produttivo più vicino a quello di Return.

La rigidità delle animazioni è un terreno delicato che richiede riflessione: potrebbe avere un forte nesso narrativo con l'idea dell' "album dei ritagli", visto che la tecnica usata rende in effetti i personaggi marionette di carta, come nell'animazione in decoupage. La piattezza intrinseca tuttavia può essere un limite anche con le migliori intenzioni e con i migliori animatori: non mi sono piaciuti per esempio i movimenti così rigidi del cuoco.
Ad ogni modo, vedo l'impegno, intravedo una logica nelle scelte estetiche (cosa che per me pesa più dei gusti personali), la sfida narrativa è irresistibile. Non ho mai liquidato come una schifezza Curse solo perché Guybrush era (ed è!) per me deforme, non mi metto di certo a liquidare Return senza nemmeno averci giocato perché il nuovo Guybrush mi inquieta un po'. Cercherò di superarla, siamo tra temibili pirati, dopotutto. La scorza è dura. Se lo è anche la vostra, esaminate con attenzione sei screenshot ufficiali.

Va bene, ma la storia a questo punto qual è?

Ricordo che Gilbert, sia nel 2013 sia verso la fine del 2020, proprio quando mi fece pensare con qualche suo strano atteggiamento a quello che è poi successo, ammise che un nuovo Monkey Island fatto da lui non sarebbe mai stato lo stesso identico gioco che aveva "saltato" nei primi Novanta. Non solo perché lui stesso (come qualcuno ha notato in questi giorni) non è più ovviamente la stessa persona dopo 30 anni, ma anche perché una buona parte del plot della sua idea originale era stato utilizzato dai Telltale in Tales of Monkey Island, involontariamente! Aggiunse che avrebbe allora mantenuto lo "spirito" di quello che voleva fare, ma con una storia diversa. Si potrebbe tradurre così: forse spiegherà il "segreto" come intendeva, ma in un contesto narrativo differente. Se state sudando freddo per il macello di continuity che appare all'orizzonte, posso solo farvi notare che, se il segreto consiste davvero nella spiegazione più diffusa al finale di Monkey Island 2, dovrebbe essere molto facile integrare nella storia proprio qualsiasi cosa, dai Monkey "spuri" fino a Call of Duty!
Tornando seri (relativamente), non va dimenticato che Grossman, oltre ad avere cofirmato i primi due capitoli, era una colonna dei Telltale e fu un referente importante appunto per Tales, nonché coautore del suo soggetto! In più, richiese allora anche un brainstorming di qualche giorno con Ron Gilbert stesso. Con queste premesse, ricordando il geniale colpo di scena nel quarto episodio di Tales, al quale mi sembra ancora impossibile che Ron non si sia opposto se non l'avesse gradito, non mi stupirei se quest'inaspettato abbraccio della saga si allungasse fin lì. E non nascondo che, avendo amato moltissimo Tales, mi farebbe non poco piacere.
Stando a Ron e Dave, la storia comincerà nel parco di divertimenti che chiudeva LeChuck's Revenge e includerà tra le location, come si evince dagli screenshot diffusi, Mêlée Island e Monkey Island, oltre a un'isola ghiacciata di nome Brrr Muda (!!!) e un'altra inquietante battezzata Terror Island. La sinossi dal sito ufficiale recita quanto segue:

Sono trascorsi anni da quando Guybrush Threepwood è rimasto prigioniero di una battaglia d'ingegni con la sua nemesi, il pirata fantasma LeChuck. Il suo vero amore, Elaine Marley, non si occupa più delle sue mansioni da governatore e Guybrush stesso è alla deriva, insoddisfatto, senza aver mai scoperto il Segreto di Monkey Island. Giovani pirati di tendenza comandati dal Capitano Madison hanno defenestrato la vecchia guardia dal potere, Melee Island sta discendendo la china, e il famoso uomo d'affari Stan è stato imprigionato per crimini legati al marketing.

Presterei attenzione a quanto viene scritto qui. Lo stallo alla fine di Monkey 2 si può interpetare dunque come una "battaglia d'ingegni"? In che senso? Vedremo. Guybrush si trova nella stessa situazione di molti fan, "alla deriva e insoddisfatto" per non avere mai saputo il segreto? Quando si dice la comunione d'intenti tra protagonista e giocatori! Il nuovo prende il posto del vecchio, ma con quali conseguenze? Bel tema. So che mediterete l'omicidio per l'accostamento sacrilego, ma vorrei ricordare che pure Fuga da Monkey Island prendeva le mosse da una decadenza dell'identità collettiva piratesca (seppur diversa da questa).
Niente anacronismi evidenti, però. Gilbert ha detto: "Voglio fare una vera avventura piratesca. Non voglio che sia ridicola o strana, voglio che sia una buona, solida avventura piratesca, perché per me i primi due erano così".

Suggestioni e supposizioni sulla storia

Ragiono qui a partire dal trailer e dai primi screenshot mostrati ad aprile.
Le chiavi. Appaiono in due screenshot su quattro e il loro riproporsi suggerisce già qualcosa di bizzarro e un po' esoterico che mi intriga: non solo per gli enigmi evocati dal vasto assortimento del fabbro, ma proprio come identificazione di una qualche cultura... se non di una nazione vera e propria, come si intuisce dal tribunale misterioso nello screen di Brrr Muda: nel quadro di destra quello che sembra un reggente addirittura indossa una corona di chiavi. Non può essere una coincidenza: quale senso potrebbe avere il ritratto di famiglia nella bottega del fabbro? È quello il nesso tra le chiavi e un elemento più importante della storia? L'isola ghiacciata è di origini vichinghe? Sotto il ritratto a sinistra nel tribunale s'intravede l'immagine di una nave che mi sembra vichinga. Cosa lega Mêlée Island a quest'altro luogo?

C'è peraltro un elemento inquietante nella famosa strada di Mêlée: cosa significano quegli strani graffiti, che non appaiono casuali? Dando credito alla classica interpretazione del finale del secondo capitolo, la sezione di Mêlée del "parco giochi" sembra essere stata quasi dismessa, con la chiesa chiusa e il vicolo bloccato dall'immondizia. L'apertura del fabbro è recente, oppure c'è sempre stato e non lo vedevamo nell'inquadratura originale? E la sagoma nel negozio... è un pirata qualsiasi oppure IL pirata? La nave di LeChuck è chiaramente a Mêlée, dopotutto, com'è chiaro dalla homepage del sito ufficiale... A questo proposito, che dire della piratessa fantasma del teaser? Non vieni inserita nel teaser di un gioco così atteso se non sei un personaggio nodale. Una cantastorie? O una nuova... LeChuck? Difficile infine costruire teorie sul plot a partire dallo screen "sotto Monkey Island", ambientazione ben evocata dagli immancabili funghi: c'è però l'eco di un puzzle, perché la statua della scimmia stringe quella che appare come una palla da bowling ma le manca una... spada? Cosa dovrebbe impugnare?
Occupiamoci un attimo di ciò che si vede nel trailer lungo di gameplay.

Come si giocherà? Con quale engine gira?

Sul sito si dice che il punta & clicca sarà aggiornato ai tempi moderni, in un'evoluzione dei controlli classici. Le interazioni "sensibili al contesto" sono secondo me quelle sperimentate in Delores: verbi d'azione contestuali all'hotspot col quale si sta interagendo, non standard. Non ho idea invece di cosa possa offrire un "inventario facile da usare", perché negli anni sono stati fatti mille esperimenti sullo snellimento di quella dinamica. "Dialoghi ad albero reattivi" mi fa invece pensare a scelte che cambiano in tempo reale, mentre qualcosa accade sullo schermo (a memoria, credo che in alcuni casi accadesse già in sporadiche situazioni nelle avventure lucasiane, nonché in alcuni lavori Telltale).

Nelle interviste Ron e Dave hanno parlato di un ripensamento dell'avventura grafica, non per tradirla, quanto per farla evolvere in modo divertente: si sono chiesti sul serio cosa nel passato fosse effettivamente coinvolgente e cosa invece dovesse esserci solo per dovere verso le consuetudini del genere. Una cosa che hanno voluto eliminare sono le risposte generiche, pensando l'interazione affinché si ricevano "risposte buone per tutte le azioni" che il giocatore può intraprendere. Si sono anche concentrati con attenzione sul sistema di controllo, per garantire un input alternativo via joypad che non fosse una seconda scelta rispetto a quello via mouse, e senza che quest'ultimo ne risentisse. Come per Thimbleweed Park è previsto un sistema di aiuti integrato nella narrazione (in quel caso si poteva chiamare al telefono una hint line), nonché un doppio livello di difficoltà, "normale" e "casual", con enigmi rimossi o semplificati. Questo era quasi doveroso, visto che prima di Thimbleweed Park era stato proprio Monkey 2 a introdurre questa possibilità nella giocografia di Gilbert.
Sempre Delores aveva tenuto a battesimo il nuovo engine proprietario della Terrible Toybox, evoluzione di quello usato in Thimbleweed Park, slegato però dall'obbligo della pixel art, ergo è quello il motore che muove Return of Monkey Island. Sin dai tempi dello SCUMM, Gilbert rimane fedele all'autogestione e ama sviluppare di persona, da programmatore, i suoi ambienti di sviluppo.

Su quali piattaforme sarà? Sarà doppiato in italiano?

Return to Monkey Island sarà un'esclusiva temporale console per Switch, ma il PC comunque sarà coperto dal primo giorno: la pagina Steam è già infatti stata aperta, con informazioni riguardanti le localizzazioni. I doppiaggi diversi dall'inglese non sono previsti: il gioco verrà comunque sottotitolato in otto lingue straniere, tra cui l'italiano. Ron ha in altra sede confermato che una versione Mac esisterà. Peccato per gli utenti Xbox / Playstation, ma i loro porting non sono esclusi in generale: la precedenza allo Switch è stata probabilmente dettata dal grandissimo successo riscosso da Thimbleweed Park sulla piattaforma Nintendo.

Consigli di sopravvivenza

Adesso però basta con le doverose "faq". Mi sta a cuore qualcos'altro.
Superate le prime ore dal rintronante annuncio, si sta facendo strada, seppur sovrastata in parte dalla gioia, una certa preoccupazione. Ho ascoltato, letto o anche solo avvertito il fatale termine: paura. Potrei mai scrivere qualcosa che la contenga? Nel semiannuncio del 1° aprile mi sono ripromesso di aiutarvi ad affrontare la turbolenza. Faccio il possibile per mantenere la promessa.

Sta succedendo qualcosa di unico, prendetevi un attimo per osservare sul serio il fenomeno: il "Monkey Island mai fatto di Ron Gilbert" è sempre stato nei decenni un sogno, un pensiero-rifugio, più che un semplice videogioco. Il simbolo di qualcosa che rimane fermo lì per te, immutabile, mentre tu e il mondo intorno a te siete costretti a cambiare. All'improvviso quest'idea, questo concetto astratto, due anni fa a nostra insaputa è stato infilato nel collo di bottiglia della realtà: comincia a mostrarsi oggi, nella sua prosaica forma di byte, grafica, sonoro, testi, trama, contenuti. Non più un'eterna potenzialità teoricamente perfetta, perché adattabile alla fantasia di ciascuno di noi, bensì un'opera di ingegno che come tale dev'essere il frutto di decisioni. Creative, produttive, commerciali. Deve esistere, ergo non può essere più contemporaneamente x e y, deve scegliere dove andare. "Un sogno divenuto realtà" ha un prezzo da pagare: per godertelo sei costretto a svegliarti. E se la paura fosse proprio quella? Sentire la sveglia che ha iniziato a suonare e qualcosa dentro che dice, disperatamente, "No, ancora cinque minuti?"
Colpo di scena: se vi riconoscete nella descrizione, Return to Monkey Island è un'occasione d'oro. La decisione ultima spetta a voi, io posso tentare di illuminare il bivio.

Nel 2013 Gilbert ebbe un soprassalto di razionalità e scrisse: "Se facessi oggi un nuovo Monkey Island, non dovrei essere all'altezza di Monkey Island, ma all'altezza della nostalgia di Monkey Island. Nessuno può riuscirci." Fu uno dei tasselli che mi spinse a scrivere un articolo, "I nodi al pettine" (che copriva altre apparenti delusioni), e a chiarire a me stesso un metodo di sopravvivenza, in un mondo che vende a tutti (non solo a noi ultraquarantenni!) badilate di nostalgia: da secoli ho sostituito la nostalgia con la storia. Sintetizzai così: se la nostalgia garantisce solo il passato, la storia include e rispetta il passato, ci àncora al presente, ci proietta nel futuro. Tre al prezzo di uno, non c'è confronto.

Contestualizziamo ancora meglio. Ponendovi l'obiettivo di "tornare bambini" giocando a Return to Monkey Island, temo che procediate a 200 km/h contro un muro con i freni rotti, senza airbag. Estendendo il ragionamento di prima, vi svelo come ho fatto a mandare avanti Lucasdelirium per oltre 20 anni: ho ridotto la percentuale di nostalgia che mi motiva (siamo sul 20, a occhio) e ho deciso di crescere insieme al mondo che ho scoperto da ragazzino, magari interpretandolo in maniere diverse col passare del tempo. Se questo sito/blog vivesse solo di nostalgia, l'avrei a occhio abbandonato dopo quattro-cinque anni. Sul serio.
Non si tratta di voltare le spalle a se stessi e ai ricordi, si tratta di allargare lo sguardo fino ad abbracciare una prospettiva più ampia che li usa come fondamenta, dove un gioco in sé è un elemento nodale dell'esperienza, ma non la esaurisce. Sei anni fa trascorsi mesi a cercare di spiegare perché per me la rabbia verso i risultati di Broken Age fosse degna di miglior causa, perché il contesto in cui era nato mi aveva dato tantissimo, per capire cosa significhi creare e gestire un gruppo votato alla follia di creare arte e intrattenimento. Mi scoprii protettivo per gratitudine, sfidando il rischio di "non essere oggettivo". Il buonismo però non c'entra proprio nulla, i difetti si possono e si devono comunque notare: è lo spettro delle sentenze inappellabili ad alimentare paure e disillusione.

Un evento ancora più grande come Return to Monkey Island è l'occasione migliore per - se vi va e ne sentite il bisogno - tentare un cambio di paradigma che per me è stato un grande aiuto in quest'epoca di costanti riproposte in tutti i media. Non posso escludere di parlare dal punto di vista privilegiato di chi, come ho spiegato, non lo attendeva e quindi vede l'evento come un inaspettato "extra". Al momento non riesco nemmeno ad avere "paura". Mi sento entusiasta e felice, e per capirne i motivi basta che ripassiate questo lungo articolo: Return to Monkey Island è già prezioso... e nemmeno è uscito!

Invece di farsi trascinare da questi autori, mentre siamo rivolti all'indietro, si tratta di alzarsi, camminare insieme a loro, voltarsi per guardare avanti e vivere con loro le riflessioni sul mezzo e sul loro mestiere, anche il rischio di inciampare. Non si diventa adulti solo per peggiorare. Crescere potrà compromettere lo stupore infantile, ma dà la forza della complicità e dell'empatìa, la capacità di moltiplicare i valori di qualcosa con una mente più evoluta dalle esperienze. A quel punto, la corsa verso il muro rallenta, la mano sul volante si fa più salda, l'airbag è al suo posto.
Siamo pronti.