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Broken Age

(2014-2015, Double Fine Productions, Tim Schafer)

Nella città di Dulcia, l'adolescente Vella si prepara a essere sacrificata all'ingordo Mog Chothra, un mostro che periodicamente divora fanciulle; la società che circonda la ragazza considera la cosa ormai normale, al punto da ritenerla un onore. Mentre Vella medita sulla possibilità di ribellarsi all'usanza, allo stesso tempo, in qualche altro luogo, il suo coetaneo Shay vive in una nave spaziale. La sua vita è coordinata da una "Madre", un computer senziente che lo protegge con paranoia da ogni pericolo, programmandogli pasti, sonno, svaghi e persino finti rischi. Come Vella, Shay ne ha abbastanza del suo status quo, e uno strano personaggio di nome Marek, nascosto nei meandri della nave, sembra offrirgli l'ebbrezza dell'avventura...

Analisi

DESIGN / SCENEGGIATURA

A distanza di tanto tempo, è consigliabile riflettere sull'effettiva identità ludica di Broken Age, sforzandosi di andare oltre il suo enorme valore simbolico. L'avvio del progetto diede inizio al fenomeno Kickstarter, trattato da me in tre momenti diversi: a caldo nel 2012, a metà del guado nel 2013 e al termine del guado. Non solo: la sua lavorazione fu narrata da un lungo documentario a puntate, uno sguardo prezioso e coinvolgente sulle dinamiche della creatività e della produzione, tuttavia un'altra influenza esterna sulla percezione del gioco in sé. Non che si possa sul serio dissociare del tutto la sua genesi da ciò che è: Tim Schafer aveva chiuso con le avventure grafiche dopo Grim Fandango (1998), quando era ancora alla LucasArts, e non pensava che avrebbe messo la sua Double Fine al lavoro su un punta & clicca di grande respiro, genere ormai inviso ai publisher più importanti.

Quando la campagna di crowdfunding partì, Tim supponeva di concedere ai fan nostalgici un divertissement breve a basso costo, per giustificare il documentario dei 2 Player Productions, vera scintilla dell'operazione. Il rapporto tra gioco e documentario s'invertì presto, una volta che si raccolsero a sorpresa oltre 3 milioni di dollari, cioè dieci volte la richiesta iniziale! Da sempre proiettato verso la sperimentazione, non nostalgico, Tim si ritrovò allora risucchiato nel passato più del previsto, dai fan che lo volevano riportare indietro ai "bei vecchi tempi". La mole rivoluzionaria del finanziamento e la maturità raggiunta da Schafer dopo Psychonauts, dinamiche invece molto radicate nel presente, s'incrociarono con l'invocazione di quell'età dell'oro, segnando Broken Age nel bene e nel male: nacque la grande ambizione di conciliare la vecchia ingenuità romantica con il senno di poi, anni prima che Ron Gilbert si misurasse con la stessa sfida in Return to Monkey Island.

All'uscita del gioco, creò molto scalpore tra gli appassionati più "retrò" l'interfaccia: punta & clicca, ma chiaramente pensata per adattarsi all'immediatezza touch, con oggetti dell'inventario sì combinabili, ma un comando unico per interagire, in modo diverso a seconda dell'hotspot selezionato. La scelta sconvolse gli oltranzisti che avevano per anni ignorato la Telltale della prima ora, quella dei Sam & Max. Chi non si era fatto intimorire da quelle produzioni, sapeva benissimo che un'interfaccia così essenziale non abbassava per forza di cose la difficoltà, se non per deliberata scelta: al massimo poteva ridurre la sensazione di una ricca interazione, però va detto che Schafer qui offrì in cambio una gran varietà di risposte cucite sui tentativi di utilizzare gli oggetti dell'inventario nel mondo di gioco. Ci sono pochissime risposte generiche: è un passo avanti rispetto ai tantissimi responsi standard che si ottengono in un Monkey 2 (anche se è difficile ammetterlo).

Ci sono minimi problemi nell'inventario a scomparsa che può saltar fuori quando clicchiamo su un angolo dello schermo per spostarci, ma in generale l'interfaccia di Broken Age garantisce un ottimo ritmo, un fattore di cui Schafer decise di tener conto, per stare al passo coi tempi. Tradimento dei sostenitori? Dibattibile, perché parliamo di un designer che, tra Full Throttle e Grim, massacrò le convenzioni del punta & clicca, finendo persino per negarlo: paragonato con quelli, il sistema di controllo di Broken Age sembra al contrario persino timido e tradizionale, quasi un auto-tradimento, se non fosse per qualche minigioco che cambia timidamente le carte in tavola. L'impostazione del gameplay, se la si guarda come punto d'incontro tra percorso dell'autore e volontà dei sostenitori, è per me comunque ben calibrata. Non direi lo stesso del game design in sé.

È abbastanza normale per un'avventura grafica presentare enigmi di difficoltà crescente, però in Broken Age la salita è sin troppo ripida: un determinato colpo di scena nella trama divide il primo dal secondo atto, che subirono una cesura anche nella gestazione. Quando la prima parte fu pubblicata, tanti utenti si lamentarono di una difficoltà tarata verso il basso rispetto a un "canone" della golden age: nonostante si possa già dall'inizio passare dal controllo di Shay a quello di Vella a piacimento, i pochi oggetti da raccogliere e le poche alternative alle soluzioni più logiche rendono l'attraversamento troppo rapido. Schafer visse un certo deja vu: alla Lucas aveva progettato Grim più lungo e contorto, dopo le lamentele sulla velocità di Full Throttle. Correggere il tiro in corso d'opera nell'ambito dello stesso gioco fu però una decisione più pesante: denunciava una resa, di fronte all'impossibilità di conciliare la forma mentis antica con l'approccio contemporaneo. Nel secondo atto completato quasi un anno e mezzo dopo, Broken Age diventa molto più impegnativo, non a caso arrendendosi persino a qualche ripetitiva frustrazione dei vecchi design. Fortunatamente, così facendo incoccia qualche puzzle davvero degno dei tempi d'oro, come quelli legati all'astronave, per me la location più riuscita, e soprattutto agli adorabili robottini Hexipal, elemento iconico caratterizzante che unisce ambientazione ed enigmi (come i cristalli di The Dig).
Per onestà va detto che molti giocatori e giocatrici che hanno atteso il completamento del gioco per viverlo tutto d'un fiato, o l'utenza che l'ha semplicemente scoperto anni dopo, sembrano aver avvertito meno la virata, che comunque c'è stata.

Tanta ambizione c'è anche nel racconto. Durante la lavorazione di Psychonauts, Schafer aveva realizzato le potenzialità del videogioco per la trasmissione di valori e tematiche importanti: nel 2005 visse per caso una volta epocale nel mezzo, nel 2012 l'abbracciò consapevolmente. Broken Age non è una rivisitazione o miscela di generi come Full Throttle o Grim Fandango, bensì un racconto che dà ancora più briglia sciolta alla fantasia, alla ricerca di proprie regole, al massimo con echi delle eroine di Hayao Miyazaki e della fantascienza in stile Moon. Broken Age è progressismo sincero e militante. Nella mia soluzione / lettura ho evidenziato come la maggior parte delle scene servano alcune idee portanti, in chiave metaforica: Vella si ribella al patriarcato (due-tre anni prima del MeToo!), che però Shay incarna non per cattiveria, ma perché si fida di una gabbia percettiva che glielo offre come unico modello di lettura della realtà. Chi gestisce il potere crea i valori che fungono da bussola alle persone, e l'azione di Vella genera una valanga che porta quasi tutti i personaggi a confrontarsi con un mondo da ripensare, un vero terremoto sociale. Questo tema s'intreccia al rapporto tra genitori e figli, lì dove il ruolo di madre e padre viene preso in giro quando si limita a perpetuare il vecchio mondo, rendendosi sordo alle intuizioni delle generazioni future che lo dovranno rinnovare, preferendovi le risposte facili di ciarlatani (Harm'ny) o vanesi profittatori (Dune). Uno dei colpi di scena, il più assurdo e forse il più azzardato, metaforizza la distanza che si può creare da mamma e papà durante l'adolescenza. È una presa in giro comunque molto affettuosa: Tim ha dedicato il gioco ai suoi genitori, e sottolinea sempre come gli errori arrivino dal desiderare il meglio per i figli o le figlie. Questa storia non voleva sprecare i riflettori puntati sul progetto, chapeau.

Se quest'anima è per me un valore del gioco, bisogna anche ammettere che la sceneggiatura non le è sempre all'altezza, a causa di alcune sbavature o forzature che le sottraggono la necessaria forza. Non c'è stata una run in cui il piano ultimo dei villain di turno sia riuscito a convincermi: l'intenzione poetica mi è chiara, la dinamica delle loro azioni è contorta e ingolfa il racconto. Non aiutò poi che Schafer, attento a non sprecare alcuna risorsa, si fosse convinto a integrare nel gioco il falegname Curtis, l'albero parlante e le loro relative location: sono divertenti in sé, ma appartenevano a un tech demo slegato dalla storia... e si sente. Difetto più sottile, trovo che l'evoluzione dei due protagonisti non sia sufficientemente sottolineata. Vella rimane molto statica fino alla fine, nella sua indomabile motivazione, Shay forse si scompone un po' di più, ma la decisione di non farli mai interagire conduce verso un climax che sembra avere il freno a mano tirato. Penso che la loro distanza pesi maggiormente sul piano narrativo che su quello del design: la necessità di risolvere alcuni enigmi di un personaggio con le informazioni a disposizione di un altro, senza che i due abbiano modo di comunicare davvero, viene velocemente giustificata con un'"intuizione" in base a una "sintonia mistica" alla Zak McKracken, evocata però mai messa davvero in scena. Sul piano metaforico il discorso è chiaro: giovane generazione, Shay e Vella sono spontanei motori del cambiamento. D'accordo, ma la metafora funzionerebbe di più se il livello primario di lettura del plot fosse più solido.

Per giudicare Broken Age non è in realtà obbligatorio paragonarlo ai classici del passato, anche se viene spontaneo per la firma che porta e il contesto in cui è nato. Non c'è bisogno di cercare fuori dal gioco in sé le sue potenzialità inespresse. I suoi limiti non hanno nulla a che fare con il suo iter produttivo o con idee di fondo sbagliate, anzi. Ha vissuto di due ambizioni: conciliare le tradizionali sfide da avventura grafica con le sue incarnazioni moderne, mentre costruiva una storia dai grandi valori. La carne sul fuoco non si è però cotta fino in fondo, così gli approcci di design non si sono fusi ma semplicemente affiancati tra il primo e il secondo atto, mentre la sceneggiatura non mostra la stessa solidità dello spirito che la anima. Ciò detto, Schafer non aveva perso le sue sempre notevoli capacità di caratterizzazione dei personaggi tramite dialoghi spassosi e mai banali, con poche eccezioni (Gus) ma gustosi picchi (il Cucchiaio è un personaggio straordinario: ecco, l'ho detto). Dubbi generali sul design a parte, alcune sfide nella seconda metà rimangono poi a mio parere più che degne per un appassionato del genere. Broken Age è in definitiva ancora un titolo che si difende bene e riesce a distinguersi nell'era moderna delle avventure grafiche: in quest'ambito si sarebbe notato a prescindere, per la cura realizzativa negabile solo in nome di antipatie soggettive. Semplicemente, non è abbastanza a fuoco da entrare nella storia come l'evento che l'ha circondato... e forse fagocitato.

GRAFICA

Il direttore artistico Lee Petty (autore in proprio di Stacking e Autonomous) ha dovuto rispondere a una richiesta di Tim: portare sullo schermo i quadri di Nathan "Bagel" Stapley e i suoi personaggi, sospesi tra la dolcezza e il surrealismo. Siccome Stapley non poteva fisicamente dipingere tutta la grafica del titolo, è stato necessario creare una pipeline che permettesse agli artisti della Double Fine di imitarne lo stile. Si può di certo dire che il look di Broken Age segua la tendenza di un certo tipo di proposta indie, ma bisogna anche ricordare che nella sua carriera Schafer, appena ha avuto il controllo creativo totale sui suoi giochi, ha imboccato la strada della forte identità visiva in tempi non sospetti: si tenga presente il look alla Mike Mignola di Full Throttle o le collisioni folli di stili in Grim Fandango, per non parlare del grottesco estremo di Psychonauts. Quasi a summa di un passato glorioso, nella fase di progettazione sono stati coinvolti, per il design degli elementi scenografici, due vecchie conoscenze come Peter Chan e Scott Campbell. È sicuramente una proposta non lontana dal gusto stilizzante di un Machinarium, ma con una cifra propria che non nasconde, anzi enfatizza, le ben visibili pennellate. Il colore è usato per esprimere il dettaglio, per cui anche gli ambienti spogli appaiono molto evocativi. La possibilità inoltre di spostare in diverse circostanze l'inquadratura anche sull'asse Z aggiunge una dimensione percettiva in più al vecchio scrolling delle avventure lucasiane.

La bravura del team è particolarmente evidente nel II atto, quando gli interni dell'astronave, pur basandosi sugli stessi sfondi, assumono un sapore diverso grazie all'uso della luce e del colore; mi sarebbe piaciuto vedere altrettanta cura nella seconda versione di Nubila e Costarena, magari immerse nella notte. Preziosi i frequenti stacchi sui primi piani per isolare alcune zone delle schermate più affollate e fornire varietà ai dialoghi (peccato per le relative sgranature). La regia è quasi sempre attenta, ma avrei qualche remora sulla chiarezza delle inquadrature sul finale.

La già carismatica grafica si avvale di un parco animazioni ricchissimo, dirette da Raymond Crook, con lo studio esterno Supergenius a dar man forte: chi detesta il tweening digitale, un tempo tipico del Flash, le digerisce poco. In realtà i personaggi di Broken Age, animati in tempo reale anche durante le sequenze non interattive (che non sono precalcolate!), sono invisibili marionette 3D coperte da texture che si mostrano sempre frontalmente: il processo garantisce un'illuminazione dinamica sofisticata su di loro, rara sul vero 2D. Come il successivo Return to Monkey Island (tuttavia più lucido nelle superfici) mi ha ricordato il decoupage nostrano di Emanuele Luzzati e Giulio Gianini, artigianale e antitecnologico.

MUSICHE E SONORO

Come può esistere un gioco di Schafer senza le musiche di Peter McConnell? Non può, e McConnell è riuscito a strappare una discreta fetta di budget per fare a meno il più possibile di strumenti sintetizzati. Alcuni brani sono stati eseguiti da un sestetto registrato nei Pyramind Studios (gestiti da Clint Bajakian!), altri addirittura sono stati benedetti dall'impegno della Melbourne Symphony Orchestra: chi ha visto il documentario ricorderà l'emozione di McConnell nell'ascoltare l'esecuzione di "Battle at Shellmound" in videoconferenza! Bernard Herrmann ti ha dato una pacca sulla spalla da lassù, Peter. L'accompagnamento è intrusivo solo in alcuni momenti, ma la firma della Golden Age lucasiana è avvertibile, specialmente nei brani che mi sembrano suonati dal sestetto, come "March in the Clouds". Mi sono rimaste dentro "Time to Get Up Little Spaceman", per il geniale richiamo al carillon, ma soprattutto l'insinuante "Shay's Secret Mission", a mio parere uno dei pezzi più evocativi mai scritti da McC (probabilmente anche grazie al suo violino).
Oltre l'aura mitica di Peter c'è il sound design curato da Camden Stoddard, che non soltanto non compromette la discernibilità della musica, ma è un elemento cardine dell'immersività, oserei scrivere al pari della grafica: dalla plausibilità naturalistica di Dulcia e Costarena, passando per l'invenzione sonora dell'astronave, Camden e i suoi trasmettono con cura sia la distensione suggerita da un cinguettìo, sia l'inquietudine per una tecnologia in disfacimento. È quasi subliminale, ma vale la pena apprezzarlo.

Gli amici di Broken Age non erano solo i backer del progetto. Il doppiaggio è diretto dalla spiritosa veterana di lungo corso lucasiano Khris "Chester" Brown, e le voci vip sono motivate: Shay addirittura è Elijah Wood (fan delle avventure e backer lui stesso!), il losco santone Harm'ny è Jack Black, ancora con Tim dopo Brutal Legend; Will Wheaton è il boscaiolo Curtis (con una voce incredibilmente simile a quella di George Clooney); lo sceneggiatore e doppiatore Pendleton Ward (l'ideatore di Adventure Time) è Gus, anche nelle fattezze; le guardiane cieche sono Nikki "Lily Zanotto-Morgan LeFlay" Rapp e Ginny Westcott (sorella di Schafer); il "sindaco" Dune è la leggenda Nick Jameson, alias il dr. Ubermann, il dr. Fred, i tentacoli Viola e Verde, Max e il Coach Oleander di Psychonauts. Da quest'ultimo proviene anche l'indimenticabile Raz, Richard Horvitz, qui voce del Tessitore Navigatore. Vella è invece la doppiatrice Masasa Moyo. Calore e professionalità, lavoro ineccepible.

Revisione: 4/2025

NOTE TECNICHE SULLA PRIMA EDIZIONE
(Windows/Mac/Linux, Playstation 4, PS Vita, iOS, Android, OUYA)

Perché "reinventare la ruota" e programmare quasi da zero un motore per avventure grafiche, con tutti gli editor che già  erano a disposizione anche degli appassionati non professionisti? Oliver Franzke, che aveva maturato una certa esperienza nel genere con la Monkey Island Special Edition, ha costruito sul MOAI un engine apposito, comprensivo di editor vari ad hoc. Conta che l'engine muova la grafica con una fluidità e una rapidità che la concorrenza non offriva, con una flessibilità adattabile al multipiattaforma e una performance ottimale, una condizione indispensabile per la tenuta dell'illusione, non ottenibile con motori preconfezionati. Rammento con piacere che durante il II atto non incontrai nemmeno in un bug, cosa che non mi era mai capitata prima con un prodotto Double Fine del nuovo corso indipendente. Come scritto, Schafer optò per un'interfaccia punta & clicca già pronta per i tablet (e PS Vita), con qualche clic di troppo, senza l'uso obbligatorio del tasto destro del mouse e con drag & drop: dopo le proteste durante la beta, è stata implementata una modalità di controllo più tradizionale, configurabile. La veterana Double Fine Anna Kipnis ha diretto invece il codice del gioco vero e proprio.

La prima parte dell'avventura venne pubblicata nel gennaio 2014 solo in digitale su Steam e DRM-Free su Good Old Games, con sottotitoli anche in italiano: le due parti vennero poi fuse in una sola dopo l'aprile 2015, alla pubblicazione del II Atto, quando sono apparse nuove edizioni e porting: Playstation 4 e PS Vita, iOS, Android (rimossa in seguito) e OUYA (edizione deceduta così come la console). È nel 2015 che la lavorazione si è compiuta sul serio, per questo porto tutte queste piattafome sotto l'ombrello della "prima edizione". Sui sistemi dotati di controller come Playstation 4, PS Vita e OUYA è possibile accedere con i tasti a oggetti dell'inventario e hotspot (a rotazione) con lo stick destro, usando il cursore solo per muovere i personaggi e limitandone quindi il trascinamento per lo schermo, comunque sempre possibile agendo sul sinistro. In versione touch iOS/Android, l'icona apposita di un occhio evidenzia gli hotspot, perché non esiste a schermo un puntatore. Su PC è possibile attivare una spiritosa visualizzazione "retrò a 8 bit" seguendo queste istruzioni.
Nel 2025 su Windows Broken Age funziona ancora senza problemi particolari, se non nella fluidità un po' compromessa sui monitor ad altra frequenza e a refresh adattivo, perché il framerate non va oltre i 64fps. Personalmente ho ridotto i fastidi regolando l'eseguibile tramite pannello di controllo nVidia su: sync verticale attivato, la più elevata velocità di aggiornamento disponibile e naturalmente compatibilità G-Sync.
La sola versione PC (Windows/Mac/Linux) ha visto la luce anche in retail sempre nell'aprile 2015, tramite il publisher Nordic Games, in alcuni paesi europei come l'Inghilterra. La particolare confezione, ideata dal grafico Cory Schmitz, prevede una copertina con uno slipcase trasparente raffigurante Shay e Vella, che si possono invertire di posizione come più ci aggrada.

Credits (PC, PS4/Vita, iOS, Android, OUYA)

Direzione del progetto, soggetto, design e testi: Tim Schafer
Produzione: Greg Rice, Matt Hansen (executive producer), Malena Slettom (localizzazioni)
Direzione artistica: Lee Petty
Capo grafico: Nathan Stapley
Fondali: Derek Brand, Emily Johnstone, Say Oh, Levi Ryken
Animazioni: Ray Crook (sup.), David Gardner, Chris Lam, Miyuki Richardson, Elliott Roberts, Chris Schultze, Supergenius (service coordinato da David Gardner)
Grafica e animazione degli effetti: Lydia Choy, Dave Russell, Adrian Melian, Panya Inversin
Codice di sistema: Oliver Franzke (sup.), Brandon Dillon, Paul DuBois, Duncan Bohele
Programmazione del gioco: Anna Kipnis (sup.), Bert Chang, Ben Peck
Musiche: Peter McConnell (alcuni brani eseguiti dalla Melbourne Symphony Orchestra)
Direzione sound design: Camden Stoddard
Sound design: Brian Min, Paul O'Rourke, Brian Correia, Ashley Coull
Direzione e produzione del doppiaggio: Khris Brown (KBA Creative)
Voci principali: Elijah Wood (Shay), Masasa Moyo (Vella), David Kaufman (Marek), Jennifer Hale (Mamma), Pendleton Ward (Gus), Jack Black (Harm'ny), Will Wheaton (Curtis), Richard Horvitz (Tessitore stellare, Walt'r, Pesce), Nick Jameson (Marshall Dune, Coltello, Annunciatore, sveglia), Nikki Rapp (Dead Eye Courtney), Ginny Westcott (Dead Eye Dawn), Alex Rigopulos (Alex), John Cygan (Papà, Cucchiaio, Controllore, Maestro Thrush)
Documentario "Double Fine Adventure" (20 puntate): a cura di 2 Player Productions - Paul Levering (produzione), Paul Owens (regia), Asif Siddiky (fotografia), Terence Lee (musiche)
Mansioni aggiuntive: Mark Hamer (co-direttore artistico per Atto II), Scott Campbell, Peter Chan, Jane Ng (grafica), Joe Kowalski e Cory Schmitz (grafica dell'interfaccia), Marius "Majus" Winter (stagista di grafica), Tyler Hamill (animazioni aggiuntive), JP LeBreton, John Bernhelm e tutto il team (design)

Altre edizioni e porting

Xbox One (2017)
Questa versione è arrivata solo in digitale nel giugno 2017, appaltata dalla Double Fine alla BlitWorks, specializzata in porting, in particolare di avventure grafiche. È naturalmente modellata sul sistema di controllo visto su Playstation 4.

Edizioni fisiche Playstation 4 / PS Vita da Limited Run Games (2017)
Nel giugno 2017 Limited Run Games ha pubblicato a tiratura limitata due incarnazioni retail, una per PS4 e un'altra per PSVita. Esauritissime. Il case per Vita includeva una trading card esclusiva.

Colonna sonora in vinile (2017)
Extra solo per palati assai sopraffini, edito da iam8bit: tutta la colonna sonora di Peter McConnell su 2 LP, in un album dalla grafica assai curata, gestita direttamente come al solito dalla Double Fine.

Nintendo Switch (2018)
Realizzata direttamente dalla Double Fine, l'incarnazione Switch di Broken Age era in effetti un'ottima idea, coprendo due modalità di fruizione entrambe consone al genere del punta & clicca. È stata pubblicata nel settembre 2018, teoricamente solo in digitale, anche se ne è stata prodotta un'edizione fisica a tiratura limitata a fine 2018, a cura della solita Limited Run Games. Due i sistemi di controllo utilizzabili: quello a doppio stick già visto su console, oppure quello touch delle versioni iOS/Android. Segnalato dall'utenza qualche problema di performance.

Extra e curiosità

La maggior parte di quello che c'è da sapere su Broken Age e sulla sua storica lavorazione è contenuto nel citato documentario Double Fine Adventure, di cui ho tradotto personalmente i sottotitoli: in quella pagina approfondisco anche i contenuti extra. Per riflettere sui tanti aspetti, vi ribadisco inoltre i già citati tre articoli scritti per Lucasdelirium, rispettivamente a caldo, a metà del guado e a freddo, cioè: "La persistenza del sorriso" (2012), "I costi, i tempi e le menti" (2013) e "Cosa resterà di questo Kickstarter?" (2015).

Copertine

Vi ricordo che per avere una panoramica sulle copertine e sui materiali delle confezioni, la vostra meta dev'essere Mobygames. Le copertine mostrate in questa pagina non hanno valore esaustivo, ma indicativo e affettivo, provenendo dalla mia collezione personale.

Windows-Mac-Linux per i backer
Finalmente, nel gennaio 2017, mi giunse la versione scatolata prevista per i sostenitori dai 100$ in su, concepita verticalmente dopo un sondaggio sul forum Double Fine: io avevo votato per una scatola orizzontale, mi pareva si adattasse meglio all'illustrazione di Bagel. Il box comprende alcune cartoline con immagini dei fondali, più un case di cartone srotolabile, che ospita il dvd-rom del gioco e i tre Blu-ray del documentario, completi di color correction e di oltre 2100 minuti di contenuti speciali, in tre commenti audio per ciascun episodio e svariate clip scartate dai montaggi originali (commento il tutto nella pagina apposita, dove trovate anche i miei sottotitoli in italiano non compresi nei dischi). Qui in basso vi mostro le quattro copertine, del gioco e della "Double Fine Adventure" interna. Per la cronaca, oltre alla scatola, per il mio livello di contribuzione ho ricevuto pure una maglietta "Double Fine Adventure" che mi certifica "Backer!" e un poster che mi sono fatto autografare da Tim stesso alla Milan Games Week nel 2017. L'art book invece mi spettava solo in PDF.