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DeathSpank / DeathSpank Thongs of Virtue

(2010, Hothead Games - Ron Gilbert)

Dopo epiche avventure, DeathSpank il dispensatore di Giustizia è a un passo dal Reperto che cerca da tempo immemorabile. Quando il vanesio Lord Von Prong glielo soffia all'ultimo momento, l'eroe decide di raggiungerlo, non prima d'aver salvato gli Orfani Sperduti, rapiti da svariati membri della contea, interessati a incassare le laute taglie che il malvagio mette sulle loro teste. Ma chi muove i fili del destino di DeathSpank? Qual è il legame tra il suo colorato tanga e quello indossato da Von Prong e altri quattro misteriosi (e illustri) megalomani? Forse la dispensatrice di quest Sally sa qualcosa in più dei poteri connessi ai provocanti indumenti...

Analisi

DESIGN / SCENEGGIATURA

C'è tanto Ron Gilbert in DeathSpank, un gioco che superficialmente non potrebbe essere più lontano dal modo in cui i fan del creatore di Monkey Island lo inquadrano. Il gameplay è infatti quello di un action-rpg, pur contaminato da uno spirito punta & clicca: chi non ricordi che Ron si è professato in alcuni panel un "drogato di World of Warcraft" potrebbe pensare che dietro all'ideazione e alla supervisione creativa ci sia stato un calcolo commerciale, la volontà di perseguire un genere più remunerativo delle avventure, per calcolo o disperazione. Relativamente: a metà dei Duemila in effetti Gilbert pensava che un'avventura non fosse più facilmente giustificabile sul piano economico (avveniva molto prima di Thimbleweed Park e del fenomeno Kickstarter), però un affetto reale e corposo per le dinamiche da gdr è nel DNA dell'autore: DeathSpank fu peraltro realizzato dalla canadese Hothead Games, di cui Ron fu direttore creativo per qualche anno, partendo da un ruolo di consulenza proprio per l'rpg episodico basato sulla strip di Penny Arcade. Gilbert iniziò a meditare su DeathSpank anche prima, dal 2005, annunciandolo all'inizio del 2008.

Il modello interattivo rimane quello di Diablo (1996) della Blizzard North, forse più vicino a una sua evoluzione all'epoca più aggiornata come Torchlight (2008): si controlla in terza persona un protagonista da migliorare via via con nuovi poteri e nuovo equipaggiamento, sconfiggendo nemici, sbloccando aree, esplorando e accettando sidequest. Questa porzione d'identità di DeathSpank presenta alcune differenze con l'approccio hardcore del genere: il level-up è meno dettagliato, basandosi solo sull'assegnazione di semplicistiche card, la gestione dell'inventario è meno ragionata (qualsiasi cosa occupa uno slot, ce ne sono tanti), la strategia nella gestione di armi, armature, magie e bonus è meno severa e più lasciata alla fantasia del giocatore, ricaricare la propria energia è generalmente facile, e in ogni mia run ho usato poco le rune per le mosse speciali, ne deduco non siano indispensabili. I due tipi di mappa automatica non sono poi paragonabili alla comodità di quella in sovraimpressione dell'ispiratore. Manca una vera componente multiplayer: il secondo giocatore solo in locale prende il controllo a scelta di Sparkle il mago-spalla, Steve il ninja o Tankko il semimostro, che purtroppo non si possono far progredire e non spiccicano verbo, assomigliando a una versione umano-guidata delle evocazioni dei Guardian o dei Golem di Diablo.

Abbracciando la promessa di un "Monkey Island che incontra Diablo" si può rimanere assai delusi, perché in effetti la componente action-rpg ha decisamente la meglio su quella avventuriera, ma nonostante tutto ne viene contaminata in modo significativo, sempre se si paragona il risultato a un Diablo puro: per esempio il vasto territorio esplorabile, senza interruzioni se non quando si usano per rapidità le latrine (!) del teletrasporto, non è generato proceduralmente, perché la mappa è scriptata e non potrebbe essere altrimenti concepita da un designer che in cuor suo rimane devoto al sapore specifico delle location negli adventure game.
Era assai difficile slegare il gdr dall'avventura negli esordi degli adventure game testuali e dell'interactive fiction, in opere come Zork, quindi era meno scandaloso di quanto sembrasse azzardare in DeathSpank due inventari, uno per l'oggettistica dei combattimenti e l'altro per tutto ciò che è necessario alla risoluzione degli enigmi: potenzialmente, il gioco era impostato nel modo migliore per fondere le due anime 50/50, ma per ammissione di Ron il design si è modificato strada facendo, alterando deliberatamente l'equilibrio tra i due generi a favore dei combattimenti. La decisione è stata presa perché risultava difficile ai tester conciliare le due diverse forma mentis durante la partita, ritrovandosi con le sinapsi fuse dopo i momenti più concitati.

A dir il vero, l'approccio tra la prima e la seconda parte (DeathSpank e DeathSpank - Thongs of virtue, entrambe del 2010, perché The Baconing del 2011 è spurio, concepito dalla HotHead per conto proprio) sembra leggermente diverso: gli enigmi da punta & clicca nella prima sono essenzialmente relegati nelle sidequest, mentre in più di un caso nella seconda tranche sono necessari per proseguire nella storia principale, in modo nemmeno troppo immediato (si possono raccogliere biscotti della fortuna da spendere in suggerimenti). Forse Thongs of Virtue si avvicina di più a quello che l'autore aveva in mente al concepimento dell'idea.
L'anima adventure comunque batte sul serio e senza ombre in DeathSpank, la star: ovvio che nel matrimonio dell'action-rpg con il punta & clicca la selezione della classe e la creazione del personaggio dovessero venire sacrificati, perché Gilbert non concepisce un'esperienza interattiva che non prenda le forme, in quest'ordine, dal mondo di gioco, dal protagonista e, solo dopo questi, dalla storia. I dialoghi a scelta multipla, pur presenti anche in Diablo ma senza la trasmissione di un'effettiva personalità dell'avatar, qui diventano in tutto e per tutto quelli di un'avventura grafica. La tradizione lucasiana non va molto d'accordo con il concetto di avatar, che in un gdr classico occidentale andrebbe costruito dall'utente.

Nella storia c'è un Ron Gilbert puro, sia quello vintage di Monkey Island, sia quello che si evolveva alzando le ambizioni simboliche, un attimo prima del The Cave alla Double Fine. Dov'è l'anima Monkey, solo nella citazione della città dei pirati? O in una biblioteca con relativi puzzle che richiamano un'analoga location su Scabb Island? L'anima più profonda monkeyislandiana è per me nella costruzione di un racconto che fonde sceneggiatura (supervisionata da Darren Evenson) e gameplay, riflettendo sugli stilemi e i tormentoni di un genere, ricavando la sua identità dal confronto tra il personaggio e le regole di un game design che lo torturano: non a caso DeathSpank è stato creato da Ron e Clayton Kauzlaric come strip sul blog Grumpygamer, ironizzando sulla pigrizia creativa del mercato videoludico tripla-A. L'esperienza composta dai due capitoli che Ron ha influenzato è priva tuttavia della dimensione vagamente metafisica, misteriosa e inquietante a lui cara in altre circostanze. Come conseguenza, le situazioni e i dialoghi che ironizzano sui luoghi comuni dei gdr risultano onestamente a lungo andare piuttosto ripetitivi, in una progressione del racconto peraltro prevedibile.

Più che lo scherzo tirato per le lunghe, è intrigante invece il barlume del "nuovo" Ron, lì dove si ragiona sull'ambiguità della morale e dell'etica, un ragionamento assai amaro sul relativismo dei punti di vista, che DeathSpank stesso subisce, comandato a bacchetta da una Sandy che ricorda più la Voodoo Lady che Elaine: detentore della "Giustizia", il tonto agisce di volta in volta in nome di un concetto astratto che il datore di lavoro di turno piega ai suoi porci comodi. Sorprendente il sarcasmo che non dipinge vie d'uscita: DeathSpank attaversa ambientazioni diverse (fantasy, bellica, piratesca, western, spaziale), vittima e carnefice in ogni declinazione dell'universo che abita e che fondamentalmente non comprende. Il climax finale, pur telefonato non perde significato, perché al giocatore spetterà compiere una scelta di giudizio etico, analizzando il paradosso che ha incarnato per tutte le ore di gioco. Parzialmente scusabile solo perché è tonto, DeathSpank preannuncia i sette indiscutibili laidi fetenti protagonisti del molto più cattivo (e quanto sottovalutato!) The Cave.

C'è infine in Deahtspank il Ron innovatore, che aveva concepito la pubblicazione episodica molto prima che i Telltale in quel periodo la facessero deflagrare: dopo aver tirato i remi in barca con la breve esperienza della Hulabee Entertainment nei primi Duemila, Gilbert era deciso a riproporre la serialità cadenzata in tempi migliori proprio con DeathSpank, ma forse l'inserimento in corso d'opera di un publisher come l'Electronic Arts ha ridimensionato la natura sperimentale non solo nell'approccio di design, ma anche nel confezionamento. Al di là delle sfumature nel design di cui scrivevo, le due parti citate non sono omogenee nell'organizzazione: la prima che va sotto il nome di DeathSpank, in cui esiste solo un megavillain, sembra più votata al grinding, perché invece Thongs of Virtue è stato pubblicato appena due mesi dopo ed è compresso in tre sottomondi, con tre relativi boss. Viene da pensare che le puntate in origine dovessero essere quattro (all'annuncio del gennaio 2008 la prima puntata s'intitolava Episode I - Orphans of Justice, riferendosi a un risvolto specifico dell'attuale prima parte). Ad ogni modo, con Thongs of Virtue non si rimpiange lo stiracchiamento della prima sezione, anzi l'esperienza risulta più varia.

Ad oggi Ron Gilbert non parla quasi mai di DeathSpank, e il suo nome scomparve nei credits già da Thongs of Virtue e dalle versioni Windows dei primi due capitoli, se non nella paternità del personaggio, condivisa appunto con Kauzlaric. Ciò non significa che non vi sia stato molto coinvolto come designer, ma sembra che ci sia stata una certa fretta nel prendere le distanze dal risultato, per ragioni che mi sfuggono, perché se non c'è rivoluzione c'è almeno divertimento. DeathSpank diverte perché lo stile Diablo, posto che non siate refrattari a ogni tipo di arcade, dà dipendenza e assicura un ritmo frenetico, con pirotecniche mosse speciali, in un'atmosfera solare con più esterni che veri dungeon e con un'interfaccia via joypad per me più comoda del tradizionale mouse. Certo, action e anima avventuriera lucasiana convivono in modo parecchio più convincente in Psychonauts, anche perché Schafer sa accantonare l'autoironia e crederci fino in fondo, però non si riconoscerà mai abbastanza a Ron quanto nella sua carriera si sia messo alla prova per non vivere di rendita sul passato, il luogo mentale nel quale viene riverito a prescindere.

GRAFICA

Gran parte dell'impatto di DeathSpank si poggia sulla raffinata caricaturale resa grafica. Gilbert ha indicato come ispirazione principale, più che Paper Mario, il mondo a orizzonte ridotto, ruotante su una sfera, di Animal Crossing. La soluzione, oltre a risultare estremamente funzionale perché alleggerisce il carico delle GPU che non devono renderizzare gli elementi più lontani, si combina in questo titolo con la scelta di rappresentare gli elementi inanimati come immagini strettamente bidimensionali, come se si fosse di fronte a sagome di cartapesta. Si conduce DeathSpank in un mondo esplorabile in 3D, le cui dominanti cromatiche e luminose si modificano in tempo reale a seconda dell'atmosfera della regione in cui ci si trova, mentre si ha la suggestiva sensazione di attraversare uno di quei libri "animati" pop-up che sfogliavamo da bambini. Il realismo è bandito e le animazioni in stile cartoon sono estremamente curate, sia nell'impagabile andatura decisa e saltellante del protagonista, sia nei modelli e nei movimenti del nutrito parco creature e degli NPC: un look omogeneo e compatto che evoca un'atmosfera precisa e non risente del peso degli anni. La Hothead, che si basò su diversi bozzetti di Kauzlaric, aveva fatto passi da gigante dopo Penny Arcade, che già da questo punto di vista era per me abbastanza convincente. Su PS3 e Xbox 360 DeathSpank sfidava indomitamente un'appropriata e splendente Full HD 1920x1080, su Windows l'unico limite è la vostra ambizione! Le stilizzate sequenze d'intermezzo erano ad opera della Klei Entertainment.

MUSICHE E SONORO

Se si pensa a Ron Gilbert si pensa sempre a Michael Land e al tema di Monkey Island, correndo il rischio di sminuire chiunque non sia all'altezza di un suono iconico. Qui sarebbe davvero un peccato non concentrarsi sul gran lavoro di Jeff Tymoschuk. Il compositore di Vancouver aveva già convinto ampiamente con l'ironia dello score per Penny Arcade e in questo caso riconferma il suo talento. L'orecchiabile tema principale, che si ascolta nei credits e nel teaser, ricorda l'accompagnamento di uno strip-tease o di uno spettacolo di burlesque, omaggio alla personalità sciovinista del protagonista, nonché assai ben intonato a una storia che parla di tanga mistici. Mi sono trovato a canticchiarlo spesso. Esplorando la colonna sonora, vi inviterei ad apprezzare "Evil Is A Four Letter Word", tappeto perfetto agli alti e bassi delle più accanite scorribande, però per la vera adrenalina comincia a essere di vero aiuto "Normal Battle", prima di arrivare al redde rationem della "Boss Battle Rumble".
Il gioco è interamente doppiato, con Michael Richard Dobson, noto voice actor attivo in Canada, nel ruolo principale: non tutti gradiranno il registro costantemente sopra le righe della sua parlata tronfia, ma è una scelta registica (il doppiaggio è stato codiretto dallo stesso Gilbert) coerente con la natura e l'aspetto del protagonista. Il resto degli attori si sbizzarrisce nel dare carattere e inflessioni buffe anche all'ultimo degli NPC legato alla più infima delle sottoquest, con un'evidente intenzione parodistica degli accenti "rurali" di Diablo (e infatti, tra i mille, lo scozzese non può mancare).

Revisione: 1/2021

NOTE TECNICHE SULLA PRIMA EDIZIONE (Xbox 360, Playstation 3)

Il motore usato dagli Hothead fu il multipiattaforma PhyreEngine della Sony, chiave di una pubblicazione contemporanea in digitale su Playstation 3 e Xbox 360 di entrambe le parti (nel luglio 2010 e nel settembre 2010), con successivi porting per PC. Pare che la versione Xbox 360 presenti meno tearing della versione PS3, ma c'è da dire che su quest'ultima il titolo girava davvero bene, se paragonato ai tentativi con il Full HD su PS3 dei Telltale con Tales of Monkey Island. Pochissimi i bug visivi, qualche trascurabile bug sonoro, e in un solo caso mi capitò che su PS3 il programma andasse in crash. Nulla di grave nel contesto di una performance nel complesso sicura. DeathSpank non faceva uso di sensori di movimento, quindi se siete sprovvisti di un secondo Dualshock 3, un joypad PC-PS2 compatibile a doppio stick USB basterà ed avanzerà per coinvolgere il vostro eventuale compagno di avventure. I file d'installazione, considerando la corposità del titolo, erano ben ottimizzati e pesavano rispettivamente 1 e 1.5Gb. Il gioco è stato tradotto in italiano dal fan Wolfgare solo nel 2020: le patch amatoriali per Windows sono disponibili qui e qui (Wolfgare si è occupato comunque anche di The Baconing).

Credits (Xbox 360, Playstation 3)

Direzione del progetto, soggetto e ideazione: Ron Gilbert
Co-creatore del personaggio e concept artist: Clayton Kauzlaric
Produzione: Vlad Ceraldi e Joel DeYoung
Capo-designer e capo-sceneggiatore: Darren Evenson
Squadra Hothead Games: Michael Anderson, Nels Anderson, Genieve Bertram, Phil Bonnici, Cary Brisebois, Dennis Detwiller, Gregan Dunn, Darren Esau, Kenneth Fahlman, Kevin Fink, Melany Fulgham, Adam Gejdos, Brenden Gunn, Glen Hamilton, Sean Howard, Deirdra Kiai, Derek Lawrence, Trevor Lim, Richard Marchand, Matthew Marteinsson, Ash Matheson, Greg Mayer, Sean McMurchy, Patrick McNabb, Hamish Millar, Chris Mitchell, Joshua Mitchell, Mark Ng, Derek Nylen, Matt Osness, Megan Podwin, Robert Sparks, Malcolm Stead, Brad Steeves, Pierre Tardif, Tony Thai, Ziemek Trzesicki, Arthur We, Jim Wagner, Ian Wilkinson, Samuel Yaholnitsky
Musiche: Jeff Tymoschuk
Voci: Michael Richard Dobson (DeathSpank), Alistair Abell, Corina Akeson, Greg Brock
Sequenze e grafica aggiuntiva: Klei Entertainment, Powerhouse Animation, Beep Games

Altre edizioni e porting

Windows - Mac (2010)
Le conversioni Windows della prima e della seconda parte vennero rese disponibili su Steam nell'ottobre e nel novembre 2010, mentre quelle Mac furono di poco sfasate, uscendo entrambe a dicembre, sempre e solo su Steam, per fedeltà ai DRM da parte dell'Electronic Arts. I requisiti hardware parlano di WXP/Vista/7 oppure OSX 10.5.8, CPU da 1.8Ghz, 1.5Gb RAM, 256Mb VRAM con supporto Shader 2.0. Ricordate che il joypad è obbligatorio su Windows e Mac per il secondo giocatore, mentre è naturalmente supportata la modalità mouse+tastiera piuttosto bene, con un movimento punta & clicca puro o clicca & trascina. Anche per questi porting non fu prevista alcuna localizzazione ufficiale, ma potete ricorrere alle patch amatoriali per i testi in italiano! Nel 2021 le due parti da me provate su Windows 10 e Geforce 2070 si sono comportate ancora correttamente, senza crash.