8-9-2024
Velocissima segnalazione: la mia scheda della remaster di Sam & Max: The Devil's Playhouse è online. Buona lettura!
31-8-2024
L'invecchiamento e il riscaldamento globale sono due brutte bestie quando uniscono le forze: il caldo torrido perdurante quest'anno mi ha messo a dura prova, al punto da rendere temibile (e fonte di lagne) persino la semplice salita verso il portone di casa. Non mi ha risparmiato nemmeno durante le ferie. Ma andiamo a cominciare l'aggiornamento, in questo caso... scorporato.
È disponibile la remaster di Sam & Max: The Devil's Playhouse
La Skunkape Games ha pubblicato il 14 agosto la remaster di Sam & Max: The Devil's Playhouse, chiusura del trittico di avventure grafiche dedicato dai fu-Telltale al duetto creato da Steve Purcell. La mia scheda per il remake però non c'è ancora: l'uscita in mezzo alle mie ferie non mi ha consentito di ripercorrere il gioco con l'adeguata calma, quindi ho preferito pubblicare questo aggiornamento di news, differendo almeno di una settimana la mia scheda dedicata al remake. Vi avviserò per tempo via social (o via RSS) quando sarà pronta: tenendo presente che a questo giro non c'è una traduzione italiana ufficiale dei sottotitoli (che non era mai esistita), né mi sembra sia facilmente possibile applicare la traduzione non ufficiale dell'originale, immagino che questo leggero ritardo pesi a pochi.
Nel frattempo un'altra fatica degli ex-Telltale ha compiuto 15 anni: si tratta del sottovalutato Tales of Monkey Island, e qualcuno in rete scommette che il prossimo rifacimento Skunkape potrebbe essere proprio la quinta avventura di Guybrush. Sarebbe bello, però la Skunkape non potrebbe agire in indipendenza come coi Sam & Max (che possiede), perché Tales appartiene invece legalmente all'LCG Entertainment, che nel 2019 ha rilevato diversi giochi Telltale e ha riaperto il loro sito. Non riesco a immaginare però una ragione per la quale un eventuale accordo dovrebbe incontrare intoppi.
Indiana Jones e l'Antico Cerchio arriva a dicembre!
In quel della Gamescom, abbiamo saputo che l'action-adventure Indiana Jones e l'Antico Cerchio dei MachineGames, pubblicato da Bethesda, ha una data d'uscita ufficiale: 9 dicembre, per Windows, Xbox Series X/S e Game Pass. Il colpo di scena è che il gioco, inizialmente presentato come un'esclusiva assoluta Microsoft, approderà anche su Playstation 5 a distanza di sei mesi, nella primavera del 2025. La notizia sembra avere disorientato le tifoserie, ma per quanto mi riguarda va bene così: le esclusive ormai sono da tanti anni scelte commerciali. In epoca 8-16 bit, tra gli anni Ottanta e Novanta, l'identità tecnica e quindi estetica di una macchina era nettamente diversa da quella di un'altra: un titolo poteva davvero caratterizzare un hardware, ma ora - al netto di battaglie al photo finish tra GPU e CPU più o meno performanti, su filo dei fotogrammi al secondo o di effetti particolari - un gioco può essere potenzialmente uguale su tutte le macchine della stessa generazione. E più siamo meglio è: perché porre limiti a Indiana, che aspettava un gioco tripla-A come questo da vent'anni?
Ecco il nuovo trailer, presentato da Troy Baker, che interpreta Indiana in performance capture (dandogli anche la voce nella versione originale).
Tra parentesi, non è la prima volta che la Microsoft consente un porting di un suo titolo per la concorrenza: ricordate cosa accadde tre anni fa, quando Psychonauts 2 è uscito anche su PS4 (con compatibilità PS5)? Certo, lì la Double Fine doveva tener fede agli impegni presi per la campagna Kickstarter, ma era evidente che all'occorrenza la MS sapeva essere flessibile, e l'ha dimostrato di recente con altre proposte.
Diversi giornalisti sono stati ammessi alla presentazione di un demo di gameplay, che hanno descritto in diverse sedi. Come già sapevamo, il titolo è un action-adventure in prima persona (con stacchi sulla terza in caso di acrobazie particolari), dove Indy deve risolvere enigmi ambientali, esplorare ambienti e avere la meglio dei nazisti, con possibilità di stealth e una dinamica per le scazzottate studiata ad hoc. In più adesso sappiamo che la macchina fotografica avrà una funzione di documentazione indispensabile per risolvere alcuni enigmi, così come il diario ci permetterà di seguire le fasi del mistero (e qui tutti pensiamo al Diario del Graal e al Dialogo perduto di Platone, ammettiamolo). Nonostante il gioco presenti uno svolgimento lineare fortemente narrativo, alcuni capitoli daranno a chi gioca una maggiore libertà, consentendo attività secondarie, propedeutiche a una crescita delle capacità del protagonista, seguendo il nostro stile preferito di gioco. La maggior parte della stampa ha apprezzato quello che ha visto.
Si sono aperti i costosi preordini: l'edizione Premium (100 euro) e la fisica Collector's Edition (190 euro) includono, oltre ai soliti bonus cosmetici digitali, l'accesso a un appena annunciato DLC narrativo che arriverà più avanti ("L'ordine dei giganti"), nonché la possibilità di cominciare a giocare con tre giorni di anticipo, dal 6. Sono ormai così abituato a seguire produzioni indie, che mi coglie un anacronistico turbamento già di fronte ai 70 euro richiesti per la versione Standard. Di solito attendo che i tripla-A scendano di prezzo, ma qui dovrò prendere decisioni complesse, in nome del prof. Jones e di Lucasdelirium!
Un'ultima nota sulla questione doppiaggio in italiano: anche su Steam continua a essere garantito, i primi trailer lo hanno sempre presentato, siamo in territorio grandi produzioni Microsoft... insomma, nemmeno l'avrei messo mai in dubbio. Qualcuno aveva anche riconosciuto Alessandro D'Errico come voce di Indy, se ricordate. Qualche giorno fa su Reddit tuttavia un anonimo doppiatore nostrano coinvolto nella versione italiana ha sostenuto che tutti i doppiaggi stranieri sarebbero in forse. Il contratto proposto dalla Zenimax Media / Bethesda chiederebbe infatti a chi lo firmi di accettare che la propria voce possa poi essere rielaborata tramite IA anche in altri progetti, dietro compenso ma senza più permesso. Sempre a detta dell'anonimo attore, che ha poi rimosso il post, ci sarebbe stata una rivolta trasversale nel settore, e anche i cast tedeschi, francesi e spagnoli avrebbero incrociato le braccia, ritenendo inaccettabile la cessione sempiterna e a scatola chiusa della propria voce. Non sappiamo se è vero, però è plausibilissimo. L'espansione dell'IA, in diversi settori, sta superando la velocità della sua regolamentazione e della sua gestione etica: la recitazione nei videogiochi non è stata ancora coperta dalle nuove regole imposte dagli scioperi che hanno paralizzato Hollywood l'anno scorso, anche per questo motivo. E il tempo stringe (è partito negli USA a luglio un altro sciopero proprio per queste ragioni). Mi intristisce però ancora di più l'atteggiamento di una certa utenza sui social: pur di avere versioni in italiano, sono diversi quelli che ritengono perfettamente legittimo ricorrere all'IA, anche per le traduzioni stesse, siano o meno limitate ai sottotitoli. Torneremo di certo a discutere dell'argomento.
Peter McConnell torchiato da Daniel Albu, dolcemente
Scrivo "dolcemente" perché la chiacchierata del canale Tech Talk with Daniel con Peter McConnell dura "solo" 2 ore, a differenza di quella monumentale di quasi 5 con Clint Bajakian. Peter ha di recente completato l'album folk Better Place (dove canta) ed è uno con meno parole: divaga meno, ma questo non significa che tra LucasArts, Double Fine e altre esperienze il nostro compositore non abbia di che parlare. Riassumiamo!
- Quand'era bambino, in Svizzera nei primi anni Sessanta con i genitori, perché suo padre studiava teologia da quelle parti, si trovò fortunatamente a un tiro di schioppo da una clinica specializzata in otorinolaringoiatria: aveva infatti un problema grave che gli impediva di parlare. Dopo che fu operato, cominciò d'istinto a cantare ("Mia madre dice che andavo su Mozart!"). Da allora, la musica è diventata la sua vita e il suo conforto. Suo padre aveva uno dei primi riproduttore di nastri magnetici, con registrazioni appunto di Mozart e dei Sons of the Pioneers di Roy Rogers. Aveva tre-quattro anni quando li ascoltava: era bilingue e aveva i piedi in due culture. E ascoltava letteralmente quelle due culture.
- Cercò di convincere se stesso di voler seguire una carriera nella scienza, da fisico, ma all'università realizzò che la sua passione per il violino e il banjo (questo suggestionato dalla visione di Un tranquillo weekend di paura, a 13 anni!) lo stava spingendo in un'altra direzione, da intraprendere a testa bassa. Si prese un periodo di pausa per decidere, durante il quale si mise alla prova suonando e cantando con sua cugina nella metropolitana di Boston, uno spazio per il quale il comune rilasciava una regolare licenza. Era il 1980, e la reazione rapita di una signora alla loro esecuzione di pezzi storici di Paul Simon gli fece capire che quella era la sua strada: la signora fece passare treni su treni, senza salirci, rimase finché loro non si stancarono e li ringraziò.
- Sempre a Harvard cominciò a studiare musica seriamente, con una propensione per musica classica, folk e rock 'n' roll. L'ultimo anno fu suo compagno di stanza Michael Land, col quale poi ebbe il primo lavoro, alla Lexicon. In seguito Land fu assunto alla Lucasfilm Games / LucasArts, e decise di contattare lui e Bajakian: avrebbero voluto fondare una band, ma Michael aveva altre idee: un sistema musicale interattivo sul quale stava lavorando, l'iMUSE per Monkey Island 2.
- Peter ricorda che la prima cosa che ascoltò, una volta arrivato allo Skywalker Ranch nel 1991, fu il tema di LeChuck, suonato ad accompagnare lo sprite di un LeChuck che si muoveva sullo schermo: era musica sintetizzata AdLib, primitiva così come le immagini, ma già era chiaro che c'era del potenziale per seguire l'evoluzione di un medium. "Hai presente quando qualcuno dice: l'avreste mai immaginato un giorno di comporre musica per un'orchestra di 70 elementi per un videogioco? L'avremmo immaginato eccome, capimmo allora che saremmo arrivati lì."
- Alla Lucasfilm Games presentò un curriculum e un brano demo, in stile "surf", dove aveva mixato le tracce degli strumenti che aveva suonato da solo. Vorreste ascoltarlo? L'avete fatto e non lo sapete: lo potenziò nel Bone Wagon di Grim Fandango!
- L'esperienza tecnica maturata alla Lexicon rese più semplice la sfida dell'iMUSE, che sintetizza così: "Far sì che la musica si adattasse a quello che accadeva nel gioco, in un modo musicalmente soddisfacente." Peter ricorda che storicamente fu Wing Commander (1990) a proporre una colonna sonora che si adattava a ciò che accadeva sullo schermo, solo che lo faceva ex abrupto, spezzando anche le misure, drasticamente e non rispettando una logica musicale. Lui e Land puntavano a un "conduttore d'orchestra virtuale", in grado di accelerare o rallentare l'esecuzione, di trovare il punto giusto per passare da un brano all'altro in modo piacevole all'ascolto.
- Come ottennero l'effetto? Ogni brano MIDI aveva dei "flag" che segnalavano i punti corretti per interrompere l'esecuzione in corso di un brano, per poter saltare a un altro o a un'altra sezione dello stesso pezzo. I criteri del salto erano regolati da "hook", "agganci" a situazioni del gioco. Gli stessi hook controllavano i canali MIDI, spegnendone alcuni all'occorrenza. Anche se giocarono e rigiocarono allo sfinimento per testare tutto, hanno sempre avuto dei tool proprietari per far scattare queste condizioni al di fuori del gameplay, allo scopo di testare rapidamente l'effetto di alcune transizioni musicali, e per avere un'idea veloce dello stato generale della composizione. Il nome "iMUSE" fu una decisione... politica: le routine erano nate come nuovi driver. Nella loro prima versione questi "driver" occupavano un floppy intero, cosa che non piaceva davvero a nessuno. Promuovendo però il driver a "sistema", con un suo nome e un suo logo, lui e Michael avrebbero avuto speranze di fare accettare la sua innovazione, per quanto pesante risultasse... Trovarono il nome una sera a cena in un ristorante messicano, Chevy's, scervellandosi: a memoria, Land propose "muse" e lui ebbe l'idea della "i" iniziale per "interactive" (con anni di anticipo su Steve Jobs!).
- Ringrazia il Cielo di non aver dovuto comporre per il PC Speaker, già al tramonto quando lui entrò nel mondo dei videogiochi. La Roland MT-32 fu una piccola rivoluzione: esistevano già le wavetable basate sui campionamenti degli strumenti e dei suoni interi, ma richiedevano memorie di massa corpose. Per l'MT-32 la Roland optò per un approccio ibrido: ogni strumento veniva campionato solo nell'attacco, mentre il resto del suono doveva essere sintetizzato in tempo reale. La libreria di suoni preregistrati era così più snella e un "flauto" poteva almeno dare l'illusione credibile di essere un flauto: con i sintetizzatori totali come l'AdLib ci voleva invece uno sforzo di fantasia per riconoscere strumenti tradizionali, in una sonorità assai particolare (che ha una sua identità, a patto che non la si voglia paragonare a una strumentazione reale!). Tuttora ritiene il suono della MT-32 molto caratterizzato, simile a quello del leggendario Roland D-50: lo preferisce quasi al campionamento completo più tradizionale delle Sound Canvas in standard General Midi.
- Contributi che ricorda per Monkey 2: i pezzi di Booty Island ("C'è tanto jazz, sono io, chiaramente"), il Floating Theme e il tema di Stan, rielaborazione del canto popolare Go Tell Aunt Rhody. Il tema di Largo fu una reale collaborazione tra lui e Land, "alla Lennon-McCarthy". Contributo a Fate of Atlantis: l'inseguimento sul cammello, pezzo molto amato da Hal Barwood. Contributi a Sam & Max Hit the Road, quasi tutta farina di Clint: il brano per Doug l'uomo talpa, riarrangiato per la bonus track nella versione cd-rom, poi il Vortice del Mistero, parte del tema musicale e probabilmente alcuni dei micidiali motivetti per gli autogrill.
- Smentisce ciò che aveva detto Clint nell'altra intervista: le urla di Largo in Monkey 2, primo effetto sonoro digitale per Sound Blaster in un'avventura lucasiana, non sono sue ma proprio di Bajakian! Peter non ha dubbi, perché riconosce la sua voce e ricorda bene che tra le risate dovettero "pulire" la registrazione da alcune scurrilità che Clint aveva improvvisato...
- In compenso Peter ammette (e dimostra, all'inizio dell'intervista) di essere un ottimo imitatore di Yoda, tanto che usarono la sua voce in Super Star Wars: The Empire Strikes Back (1993) per SNES!
- Quando Vince Lee creò il sistema INSANE per la riproduzione di audio e video in streaming dal cd-rom, capirono che era cominciata una rivoluzione: la bassa qualità contava relativamente, si stava aprendo un nuovo mondo. Peter ritiene Vince un grandissimo tecnico: modellò l'INSANE sulla riproduzione ottimale dell'audio, dando meno importanza ai glitch video, sostenendo che i problemi sonori pesino percettivamente più di quelli visivi.
- Keith Karloff, il leader dei Gone Jackals che fornirono le loro canzoni per Full Throttle, gestiva anche un club musicale di acid jazz a San Francisco, l'Up and Down. Come si arrivò a loro? Jack Sorensen, presidente della LucasArts, si era assicurato il catalogo dei Velvet Underground: sarebbe stato un onore assoluto averli nel gioco, ma fu imbarazzante realizzare, dopo le prime prove con le immagini... che il loro stile non si adattava all'atmosfera! Schafer rilanciò coi Soundgarden, ma il tentativo di coinvolgerli cozzò con la dirigenza della A&M Records, non interessata all'accordo. Chiamare in causa una rockstar rinomata si sarebbe di certo rivelato pesante sul piano economico. Peter decise allora di lanciare una voce nella zona di San Francisco: la LucasArts cercava biker band. Ricevettero una tonnellata di cassette, ma Keith fu l'unico a consegnare il demo di persona, a bordo di un chopper! Per essere certo di non esserne influenzato, McConnell rimischiò tutte le cassette che ascoltava in macchina, ma il loro demo fu l'unico a conquistarlo nei primi cinque secondi ("È dura ammetterlo, ma coi demo funziona così: se nei primi cinque secondi chi li ascolta non trova subito quello che sta cercando, li butta via"). Ricorda uno scherzo che Karloff gli fece, mentre registravano alcuni pezzi solo strumentali delle canzoni. Gli domandò: "Ma questo non sarà un gioco violento? Io ho figli!" Peter balbettò e rispose: "Beh, ecco, a un certo punto combatti contro altri motociclisti a colpi di catene..." E Karloff: "Ah allora okay, io l'ho fatto." Scherzi a parte, McConnell pensa che il gioco non sarebbe stato lo stesso senza i Gone Jackals e senza la loro sincera purezza rock, lontana dalle logiche commerciali.
- L'approccio alla composizione cambiò con l'arrivo del sonoro digitalizzato e di un vero sound design: prima la musica doveva fare la maggior parte del lavoro sul fronte audio ("era come andare all'opera!"), ora si poteva ragionare al di là dell'obbligo dei loop delle vecchie avventure. Per questa ragione in Full Throttle e soprattutto Grim Fandango alcuni brani vengono riprodotti una sola volta e poi lasciano spazio al sonoro d'ambiente. I loop stessi non sono più "duri", non ripartono sempre dall'inizio del brano, ma anche da sezioni intermedie.
- Ricicla mai i suoi pezzi tra un gioco e l'altro? Escludendo ovviamente i sequel, dove la riproposta dei temi principali e più amati non è solo naturale ma fa anche parte dell'esperienza di un seguito, cerca di evitarlo: bisogna fare molta attenzione, perché di solito non possiede legalmente la musica che compone, quindi autocitarsi potrebbe essere una violazione di copyright altrui. Quando compone lascia passare di solito 24-48 ore per darsi il tempo di ricostruire da dove possa essergli venuta una certa ispirazione: se si rende conto di aver copiato inavvertitamente qualcosa, di non averla modificata a sufficienza, getta via tutto. Sono cose che capitano, il plagio è un rischio sempre dietro l'angolo, spesso in buona fede, per istinto, non per copia volontaria.
Bene, si chiude questo giro agostano. Ricordandovi che tra qualche giorno integrerò questo aggiornamento con la scheda del remake di The Devil's Playhouse, vi segnalo con piacere che sul sito ufficiale della Lucasfilm si è deciso di ricordare l'innovativo Loom. Fa sempre bene!
Ciao,
Dom
27-7-2024
Non è andata come speravo il mese scorso: il caldo mostruoso è arrivato e ha avviato gli usuali studi stagionali sulle collocazioni ottimali dei ventilatori. Questo aggiornamento è un po' particolare, perché si accompagna anche a un video: la concomitanza delle due cose è casuale, chiudere video e scrittura allo stesso tempo è sfiancante, ce l'ho fatta solo perché il video è molto breve. ;-)
Che cos'è un'avventura grafica?
Me lo sono chiesto più volte, dato che ho visto nei decenni appassionati non sempre in accordo, con qualche alterco più o meno accalorato: interfacce, scelte di design, contrasto tra il vecchio e il nuovo, sono tutte questioni che tengono occupate le menti più nerdiche legate alle avventure grafiche. C'è l'utenza più tradizionalista, preoccupata che l'anima di questi giochi possa perdersi, e ci sono i possibilisti, che non si precludono a priori nulla. Il mio nuovo video "Cos'è un'avventura grafica?" in realtà vorrebbe parlare a tutti, perché cerca di capire quanto si possa allargare lo sguardo per cogliere proprio la sostanza di queste esprienze, prima ancora di riflettere su determinate direzioni di game design. Come video rappresenta un esperimento diverso dai precedenti: è molto breve (7 minuti) ed è recitato fuori campo a partire da un preciso testo scritto, non raccontato a braccio a partire da una scaletta. Come sempre, mi auspico che non venga preso come Verbo (o pretesa di Verbo), quanto come piccola bussola per decidere dove dirigere la mente e i propri gusti!
35 anni di Indiana Jones and the Last Crusade, mentre La macchina infernale viene amato ancora
Nel luglio del 1989 David Fox, Noah Falstein e Ron Gilbert completarono a tempo di record Indiana Jones and the Last Crusade - The Graphic Adventure, adattamento dal design funambolico e ricco dell'Ultima crociata di Spielberg con Harrison Ford. Non ho nulla da aggiungere alla mia corposa scheda, anche se qualche mese fa ho riflettuto sulle dinamiche di un adattamento di questo tipo, citando anche Indy 3, nel mio video su Hook.
Il lucasdelirante Leonardo nel frattempo mi ha fatto notare che la community ha creato un installer per sbloccare Indiana Jones e la Macchina Infernale (1999), consentendo al gioco di ospitare mod, livelli aggiuntivi o ricostruzione di livelli cancellati. Uno dei primi nuovi livelli creati dagli utenti è stato esplorato in questo video (è una versione ritoccata del primo reale capitolo del titolo originale). Mi lascia giusto perplesso che si creino nuovi "livelli" per un titolo che è così articolato sulla sceneggiatura precisa che Hal Barwood elaborò: non è un action puro, è un action-adventure, e creare prosiegui non ufficiali senza un progetto narrativo complesso mi suona strano, onestamente. Mi fa comunque sempre piacere che si mostri amore per un titolo che era ed è qualcosa di più di un "simil-Tomb Raider": l'infaticabile youtuber Daniel Albu ha già in programma il 5 agosto di rigiocare una parte dell'avventura in compagnia proprio di Hal.
20 anni di Telltale (più o meno) e The Wolf Among Us 2 procede
Giuro che non ho idea di quale team stia lavorando su The Wolf Among Us 2, in produzione dal 2019 presso la neo-Telltale, nata dalle ceneri della precedente, dopo il fallimento del settembre 2018. Ad ogni modo, per i 20 anni dall'originale fondazione sono stati pubblicati due nuovi screen di questo soffertissimo sequel dell'amato The Wolf Among Us, quindi non siamo autorizzati a mostrare troppo scetticismo!
Ricordo come faccio spesso che questa "Telltale" in realtà non è altri che l'LCG Entertainment, un'azienda che, slegata dall'originale, ha rilevato gli asset della vecchia azienda e ne usa il marchio per promuovere nuove produzioni su quella scia, come The Expanse, nonché per riproporre il vecchio catalogo telltalico, lì dove sono riusciti a ottenere nuove licenze. Mi sembra l'occasione perfetta per proporvi uno schema in PDF che ho compilato, per tenere sotto controllo quali titoli della vecchia Telltale sono tornati disponibili ufficialmente online e quali invece sono sospesi in un limbo.
L'emulatore DREAMM alla boa della versione 3.0
L'ex-lucas Aaron Giles, in passato anche tra i responsabili del MAME, ha pubblicato la versione 3 del suo emulatore DREAMM. Il programma si è da un paio d'anni affiancato a ScummVM e DOSBox come metodo per rivivere i titoli LucasArts. Con la versione 3 il software supporta praticamente tutti i titoli (adventure e non) della Lucasfilm Games / LucasArts fino alla fine degli anni Novanta, action di Star Wars compresi. L'autoconfigurazione e semplicità d'uso sono il suo punto di forza, specialmente per l'emulazione dei primi titoli per Windows 95 e le stravecchie schede 3D, difficili da avviare senza impostare macchine virtuali.
Le nuove schede che ho aperto sul sito per le Desktop Adventures e per Mortimer and the Riddles of the Medallion sono state psicologicamente "sponsorizzate" dall'alacre lavoro di Aaron, che mi ha reso possibile giocare questi titoli senza patemi. DREAMM non è indispensabile, ma rimane interessante, prezioso nelle citate specifiche situazioni, e in generale rappresenta un'alternativa all'interprete ScummVM (che non è un emulatore, sottolineo) e agli emulatori generici come DOSBox, che vanno regolati con una maggiore competenza storica delle macchine antiche.
Tra le diverse novità, la versione 3 presenta più opzioni di configurazione per ciascun titolo, supporta i soundfont per le colonne sonore General Midi, è in grado di rippare le tracce audio di alcuni giochi su cd-rom e presenta inoltre un'opzionale emulazione di tubo catodico CRT (molto sottile, la sconsiglio a chi non abbia almeno un monitor 1440p).
Tim Schafer, tra passato e presente dello sviluppo
Sul canale YouTube Second Wind, per il podcast Dev Heads, si è discusso con Tim Schafer di varie questioni legate al mondo dello sviluppo dei videogiochi. Con una carriera iniziata nel 1989 alla Lucasfilm Games / LucasArts, poi proseguita nella sua Double Fine, Tim ha avuto diverse cose da dire: qualche concetto da parte sua non è nuovo, ma questo è un buon bignami del suo pensiero. Prima del riassunto, vi comunico che Limited Run Games ha appena annunciato un'edizione fisica in Blu-ray del potente documentario Psychodyssey, e per l'occasione ne è stato pubblicato a sorpresa un toccante episodio extra di ben 90 minuti (!!!), un vero e proprio post-mortem di tutta l'esperienza del team su Psychonauts 2, intitolato "We Wrote It Down". Nessuna novità sui giochi in lavorazione, però ce ne sono diversi e uno è proprio di Tim, a quanto pare un'idea parecchio sperimentale. Ritornando al podcast...
- Trucco per sopravvivere nel mondo dei videogiochi? Non invecchiare troppo rapidamente! Chi gli chiede consigli si sente intimidito davanti a lui, ma Tim giura che è il contrario: ha più paura lui a parlare con chi è più giovane e sviluppa videogiochi, temendo di rimanere indietro, ancorato al passato, dando consigli legati a un mondo che non esiste più. È facile considerare il canone del videogioco un'esperienza per te illuminante (per lui è il mondo dell'Atari 2600, per esempio), ma se vuoi tenerti aggiornato e lavorare in questo campo, devi sempre ricordare che potrebbe avere meno importanza per un'altra persona, magari più giovane.
- Oggi è più facile fare videogiochi rispetto a quando cominciò lui nel 1989, ma è assai più difficile farsi notare nell'oceano di uscite (la sua vetrina Day of the Devs è nata per quel motivo).
- La trasparenza garantita delle videocamere sempre accese dei 2 Player Productions, nei documentari Double Fine Adventure e Psychodyssey, è servita ad abbattere quella parete che da ragazzo vedeva tra chi giocava e chi realizzava i giochi, anche se esporre le persone in carne e ossa alla rete e ai social, quando ci sono state polemiche, è stato un boomerang e ha causato stress a molti. Le cose sono migliorate con la pubblicazione della Psychodyssey, avvenuta DOPO l'uscita di Psychonauts 2: non solo per la maggiore tranquillità del team nel farsi riprendere e nel commentare, ma anche perché le aspettative o le impressioni che si formano con video del genere possono compromettere inesorabilmente l'esperienza. Se sai cos'è stato tagliato o cos'è successo nella lavorazione, è impossibile non tenerne conto giocando, quando nella norma certe cose non le dovresti nemmeno sapere: l'empatìa con gli sviluppatori ha il suo prezzo, ma se scatta è una cosa preziosa.
- Cose che per lui sono cambiate in oltre trent'anni: 1) Il rapporto col pubblico, molto più ravvicinato, con feedback immediati; 2) Il solidificarsi di generi e sottogeneri con regole ideali da rispettare (prima si era più flessibili); 3) Un maggiore riconoscimento per chi lavora nell'ambiente.
- Esistono due tipi di crunch mode (la pratica tossica di lavorare a oltranza su un gioco fino a rimetterci la salute e la vita privata, ndDiduz): quello imposto dall'alto, dal publisher, per ragioni economiche e di tempistiche, e quello che ti imponi da solo, per passione, ossessione per il dettaglio e la qualità. È una brutta bestia difficile da evitare, in entrambi i casi: lui alla Double Fine ci combatte ancora. La sopportazione del crunch mode dipende molto dal grado di autonomia che hai nelle tue ore piccole. Il maggiore scoglio è capire come premere quel tuo interruttore della mente, passando dalla modalità creativa a quella pragmatica, dalla combattività per le tue idee al realismo delle esigenze impellenti, per arrivare a pubblicare qualcosa.
- La Double Fine si può considerare uno studio AA o AAA? Considererebbe Brutal Legend l'unico gioco vicino alla concezione di "tripla-A" che abbiano mai fatto, ma si trattava comunque più di "ragionare da tripla-A", così come hanno sempre cercato di fare anche per i giochi meno vasti, dopotutto. Il team ora rimane composto da non più di settanta persone e lui personalmente non va matto per le esperienze di gioco troppo lunghe stile "season pass". Quando i contratti con i publisher poi erano meno vantaggiosi e più stretti, quanto più alto era il budget, tanto più i finanziatori volevano assicurarsi di possedere legalmente ogni marchio: la Double Fine è sempre riuscita a mantenere le sue proprietà intellettuali, ma costava meno fatica farlo e meno contrattazioni puntando su titoli corti come Costume Quest e Stacking, più economici.
- La cosa più difficile del presentare un progetto a un finanziatore / editore è riuscire a "estrarlo" dalla tua testa, renderlo oggettivamente comprensibile a chiunque non abbia seguito il processo mentale che hai mandato avanti tu da solo, o con i tuoi collaboratori. Il problema è quando accettano l'idea di base, ma pensano di poterne cambiare aspetti che per loro sono secondari: un publisher gli chiese se fosse stato possibile cambiare l'heavy metal con il country o il rap per Brutal Legend, o metterci tutti i generi musicali! Su quello decise di non fare compromessi, però accettò che non si enfatizzasse la componente RTS del gioco, per ragioni di marketing, esponendosi però ai giocatori delusi o scocciati da quell'aspetto, inatteso in un action open-world. Pensò che in fondo sarebbe stato bello per i giocatori essere sorpresi da un gameplay diverso: capì che non a tutti piacciono le sorprese di questo tipo...
- Domanda privata: come vede la sua fama e il suo lavoro Lily, la figlia di Tim apparsa spesso nei video della Double Fine e ora sedicenne? Generalmente in modo positivo, però sente che c'è stata un'ulteriore piccola svolta ultimamente, quando le ha concesso di fare una festa nella (rinnovata) sede della Double Fine, e gli amici di lei le hanno detto: "Figo il posto di tuo padre!" "Ho guadagnato punti!"
Ron Gilbert su enigmi e game design
Ron Gilbert è impegnatissimo nell'ultimo periodo: si è trasferito in Nuova Zelanda e sta sempre lavorando sul suo action-rpg "alla Zelda 16bit", di cui vi ho già parlato. Il podcast Nice Games Club ha pensato di intervistarlo sulle dinamiche tra narrazione ed enigmi, visto che ci ha trascorso gran parte della sua vita, da Maniac Mansion all'ultimo Return to Monkey Island.
- Per quanto lo riguarda, enigmi e storia sono intrecciati indissolubilmente: gli enigmi devono aiutare la narrazione, rallentare il giocatore dandogli attività divertenti, e devono informare il giocatore sul mondo, sul personaggio e sulla storia. Solo rispettando uno di questi tre obiettivi un puzzle sembrerà naturale e non forzato. Queste sono almeno le sue regole per il tipo di avventura grafica che ha sempre progettato. Ad ogni modo nel suo prossimo rpg d'azione i combattimenti hanno la stessa funzione. Lui parte da un enigma e lo scompone in sottoenigmi, ma capita che nel processo di design un enigma possa portare persino a una modifica del racconto: lo ritiene un processo naturale e preferisce non progettare in anticipo troppo, lasciandosi guidare da quello che vien fuori quando cominci ad approfondire un'idea.
- L'avventura grafica, almeno quella classica che lui frequenta, non ha "meccaniche" come gli altri generi videoludici, la sua meccanica è la storia [vedi il mio video di questo mese, ndDiduz].
- Il sistema di suggerimenti dev'essere possibilmente parte del mondo di gioco, per evitare che ci gioca non abbandoni l'esperienza, per navigare in rete alla ricerca di una soluzione. Un minimo di frustrazione può avere il suo posto in un altro genere, per esempio in un picchiaduro, ma in un'avventura grafica sarebbe il caso di assicurarsi che il giocatore sappia tutto ciò che deve per superare una situazione, senza andare di trial & error.
- È normale che alcune esperienze abbiano oggi una durata inferiore rispetto ai tempi d'oro, per adattarsi a chi era giocatore allora e continua a esserlo pur da adulto, ma con molto meno tempo a disposizione.
- Per uno sviluppatore di lungo corso come lui, l'esperienza è un'arma a doppio taglio: sai cosa evitare, però non ti butti e non sperimenti. "Vorrei avere la possibilità di diventare più stupido: amo Vampire Survivors, ma non l'avrei mai fatto perché avrei pensato che le cose che fa non avrebbero funzionato!" Per questo crede che sia meglio lavorare con chi ha meno esperienza di lui, quell'inesperienza può compensare la pigrizia della sua esperienza.
- Difficile decidere davvero quanto un enigma sia difficile o facile, prima dei playtest. Il playtesting serve a confermare se la tua strategia di design ha funzionato, ma devi resistere alla tentazione di semplificare tutto, se vedi che il playtester si blocca: dovresti agire solo se realizzi che l'ostacolo che hai creato è disonesto.
- Il finale nei giochi narrativi è spesso più facile del resto, perché vuoi evitare assolutamente la noia in quel momento, sul climax, e perché vuoi premiare chi ha giocato, lasciando che faccia qualcosa che ormai ha introiettato (un esempio è il bis della bambola voodoo in Monkey 2).
- Il marketing è importante per segnalare quale tipo di sfida il giocatore si troverà davanti: ci si può pentire di un errore di comunicazione in quel senso.
- Continua a pensare che l'avventura grafica classica, almeno come la concepisce lui, debba essere umoristica, per via delle forzature logiche che un certo tipo di design chiede a un giocatore (in situazioni che, nella vita reale, risolveresti in modo meno contorto). Per questa ragione probabilmente per una narrazione seria è preferibile un game design più semplice, meno impegnativo da risolvere, per salvaguardare questa credibilità drammatica. Detto ciò, pensa che non sarebbe mai in grado di raccontare senza umorismo, quindi il discorso lo riguarda relativamente. Al massimo si rivede nel registro alla Ghostbusters: una storia fondamentalmente seria, con questioni gravi in ballo, raccontata con umorismo, nel modo in cui i personaggi agiscono e reagiscono ad avvenimenti anche potenzialmente drammatici.
In chiusura, volevo fare un saluto agli amici del canale Mangia Avventura (che una volta mi hanno ospitato, per delirare sulla LucasArts). Hanno da poco pubblicato una videorecensione di The Secret of Monkey Island e un let's play di The Fish Files: si tratta di un'avventura cartoon per Gameboy Color realizzata nel 2001 dal team italiano 7th Sense per la Microids. Era un omaggio allo spirito folle di Day of the Tentacle e spremeva dall'8bit Nintendo una grafica a miglialia di colori!
Ciao,
Dom
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