31-5-2023
La mia compagna da una decina di giorni cerca di consolarmi: nonostante mi occupi di audiovisivi, non copro il Festival di Cannes, ergo non sono tra i pochi che hanno avuto modo di vedere già Indiana Jones e il Quadrante del Destino, al cinema dal 28 giugno. Rimando ogni considerazione.
Prima di iniziare con questo aggiornamento corredato di felice sorpresa, ricordo che l'11 giugno si terrà l'Xbox Games Showcase 2023: perché ci interessa? La Double Fine fa parte della famiglia dal 2019, ci dovrebbero essere almeno due titoli da annunciare... e qualcuno sta interpretando alcuni indizi in modo a dir poco sconvolgente. Non elaboro. Per ora.
Star Trek: Resurgence... e risorge anche lo spirito Telltale
Tecnicamente il debutto della nuova Telltale Games con The Expanse non è ancora avvenuto: a proposito, abbiamo saputo che il primo dei cinque episodi (che saranno pubblicati ogni due settimane) sarà disponibile il 27 luglio, su Epic Games Store per Windows e, contrariamente a quanto vi avevo segnalato lo scorso mese, non solo per PS5 e Xbox Series X/S, ma anche per la passata generazione PS4 / Xbox One. Acquistando la versione "Deluxe" si avrà accesso gratuitamente a misteriosi DLC più avanti.
Se al ritorno "nominale" della fu-Telltale mancano dunque ancora quasi due mesi, è successo qualcosa che per me - lo ammetto - era inaspettato. I Dramatic Labs di Kevin Bruner, in quel lontano 2004 cofondatore della prima Telltale Games, hanno pubblicato il loro primo gioco indipendente il 23 maggio, cioè Star Trek: Resurgence. Dopo lo zoppicante New Tales From the Borderlands della Gearbox, al quale avevano marginalmente collaborato, avevo sottovalutato quanto Bruner fosse riuscito a preservare l'anima vera e potente del vecchio studio sotto questa nuova etichetta, anche perché Resurgence non si è mai mostrato molto appetibile nei video e nel materiale diffuso. Come dirvelo? C'è un motivo per cui, pur presentandosi con una (sempre meno) contestata grafica a basso costo, il gioco non riesce a essere bocciato da nessuno. Funziona da matti. È davvero un paradosso: finalmente su Lucasdelirium c'è la scheda di un'epica avventura narrativa ambientata in una saga spaziale, realizzata da ex-LucasArts... e si basa su Star Trek invece che su Star Wars!
Spero che Star Wars Eclipse di David Cage riequilibri il paradosso, ma nel frattempo una "sacrilega" missione nella Starfleet, per conto della Federazione, qui su Lucasdelirium non ce la leva nessuno. Perché un'identità ludica è stata rilanciata, e mi fa tanto piacere. E perché Star Trek, come racconto nella scheda, ha una tradizione nei videogiochi puramente narrativi che Star Wars non ha mai potuto vantare... e la Lucasfilm Games sfiorò la possibilità di contribuirvi.
Strong Bad saluta gli store digitali, speriamo sia un arrivederci
E per un passo avanti, si fa un passo indietro. La demenzialissima serie di punta & clicca episodici Strong Bad's Cool Game for Attractive People, opera dei Telltale a enigmi classici, prima maniera, è stata già rimossa da GOG e tra poco sparirà anche da Steam. Affrettatevi a recuperarla, se vi sconfinfera. Mi ha sempre molto divertito nelle sue farneticazioni.
La notizia comunque mi ha preoccupato, perché nel 2020 i nuovi proprietari degli asset Telltale, cioè l'LCG Entertainment in collaborazione con l'Athlon Games, l'avevano salvata dall'oblìo... e ora hanno annunciato di non avere in poche parole rinnovato la licenza con i fratelli Chapman, autori della webserie originale. Che qualcun altro abbia rilevato il gioco? Speriamo. Mannaggia.
La fine di Fig
Ricordate Fig? La piattaforma di crowdfunding fondata nel 2015 da Justin Bailey, ex-CFO della Double Fine? Tramite Fig fu sostenuto Psychonauts 2, insieme a diversi altri progetti. Fig ha chiuso i battenti ex abrupto il 28 maggio, tanto che persino la Double Fine, nella newsletter rivolta ai backer del gioco, si è detta presa in contropiede dalla decisione. Nessun problema per le ultime ricompense e la memoria storica, perché tutti gli aggiornamenti mai pubblicati negli anni sul progetto, insieme alle novità, si sono spostati sul sito ufficiale della Double Fine.
Fig era nata con una precisa intenzione: dare la possibilità non solo di sostenere un progetto a fondo perduto, stile Kickstarter, ma anche di guadagnarci qualcosa, sottoscrivendo a scelta un effettivo investimento legale, con dividendi. Una scommessa nobile che evidentemente non è andata in porto (arenandosi a fine 2019), forse anche perché una buona parte degli studi indipendenti che l'avevano sponsorizzata mediaticamente hanno trovato una casa più tranquilla sotto la Microsoft: Tim Schafer e la Double Fine, Brian Fargo e la sua inXile, Feargus Urquhart e i suoi Obsidian.
Fig è stata acquisita dalla piattaforma di investimenti Republic nel 2020, e mi auguro che quest'ultima abbia provveduto a liquidare le quote di investimento degli utenti più coraggiosi (frutto di un contratto vero e proprio, ripeto: non è il classico crowdfunding a fondo perduto, da mecenati). Come già vi avevo raccontato nel 2019, quando la Microsoft ha inglobato la Double Fine negli Xbox Game Studios, aveva garantito a Fig il denaro per liquidare gli investitori in Psychonauts 2 con una specie di rimborso: il 139% di ogni quota sottoscritta da 500$. L'operazione deve avere funzionato, perché non è scoppiato alcuno scandalo. Mi auguro che per gli altri giochi le cose vadano altrettanto lisce.
Denny Delk, la voce americana del mito LucasArts
Il canale Conversations With Curtis ha incontrato un veterano del doppiaggio videoludico americano, Denny Delk. Famoso soprattutto come voce del teschio Murray, da The Curse of Monkey Island a Return to Monkey Island, in realtà ha interpretato una miriade di personaggi nelle avventure grafiche lucasiane storiche, e in molti casi la sua voce è stata ascoltata anche dai giocatori italiani, nei titoli in cui il doppiaggio nostrano è mancato. Denny si è raccontato: riassumo volentieri.
- Ha iniziato a recitare nei voice over pubblicitari, un tipo di ingaggio molto comune nella zona di San Francisco. Il suo mentore è stato Paul Frees (voce di Pico De Paperis, ndDiduz). Quando capì che aveva del talento, lo spronò: "Provaci, al massimo non ti vorranno!"
- All'inizio era disorientante lavorare sui videogiochi, perché non esisteva un tariffario che li coprisse, né regole chiare. La cosa migliore per un attore che dà la voce ai videogiochi è legarsi a un personaggio particolare ricorrente, di una serie amata che viene ogni tanto ripresa, com'è successo a lui per Murray nei Monkey Island. È la migliore garanzia di ritorno monetario, anche perché i fan sono molto esigenti e si oppongono ai recasting!
- Trovava uno spasso lavorare per le avventure grafiche: solo in Day of the Tentacle fu il Tentacolo Viola, il Tentacolo Verde, Hoagie, il Dottor Tentacolo e George Washington! Come si affrontano nello stesso contesto voci di personaggi molto diversi? Più sono caratterizzati meglio è, perché si distinguono naturalmente in partenza. Nella chiacchierata si mostrano clip di Indiana Jones and the Fate of Atlantis (dove Denny era Omar Al-Jabbar) e Sam & Max Hit the Road (i fratelli Kushman), come esempio della sua duttilità. Registra naturalmente le voci per ciascun personaggio separatamente, senza incrociarli, ma quello che trova più difficile dei videogiochi in realtà è registrare senza interagire mai coi colleghi. A volte chiede di mandargli in play le battute recitate dagli altri (o da se stesso, per gli altri personaggi), per reagire coerentemente in quella che dovrebbe essere una conversazione.
- Con l'esempio della LucasArts e di altre case, i concorrenti capirono che non era il caso di occupare i cd-rom con voci improvvisate degli impiegati della compagnia (come fece nei primi tempi la Sierra), e si passò ai professionisti.
- Normalmente un doppiatore non viene immediatamente riconosciuto, ma a lui capitò mentre stava comprando delle scarpe a San Francisco. Il commesso gli disse: "Sono certo di aver riconosciuto la sua voce." "Beh, può essere, faccio diverse pubblicità." "No, non è quello, mi faccia pensare". Dopo un po' gli fa: "Mi può dire: 'Seguimi tra i piloni e stammi dietro!'?" Era una frase che aveva recitato come istruttore in uno degli X-Wing!
Negli anni ha realizzato che la sua popolarità lucasiana è salita talmente tanto che il figlio trentacinquenne di una loro amica di famiglia, capito chi lui fosse, si è presentato a casa loro con un cestino pieno di scatole di classici LucasArts, pregandolo di autografarle tutte! - Ora lavora dal suo studio in Texas, fornendo voci in streaming a New York come a Londra: il mestiere è davvero cambiato. Nonostante la comodità, è un'arte però che vive anche degli incontri fisici con le persone, questo aspetto gli manca un po'. La tecnologia adesso permette a chiunque di fare un buon lavoro montandolo o modificandolo con ProTools, che ha sicuramente ampliato le possibilità di smanettare sulle voci, rispetto alle registrazioni in studio dei suoi esordi.
- Pensa di dovere la sua passione per la recitazione a sua madre: quando lui e suo fratello avevano cinque anni e li metteva a letto, leggeva loro le fiabe cambiando precisamente voce per tutti i personaggi! Sfruttando la passione per l'alta fedeltà del padre di un suo amico, si divertì da ragazzo a realizzare trasmissioni di 15 minuti, dove interpretevano più caratteri. Alla fine della sua famiglia è stato l'unico a non prendere medicina... però ha compensato leggendo guide per interventi oftalmici. Un medico gli disse anche: "Come legge bene, le va di guardare le immagini che accompagna con la voce, per capire meglio?" "Non ci penso nemmeno, sennò avrei fatto il medico!!!"
- Non ha mai pensato di recitare di persona, perché cominciò a esibirsi al liceo come speaker radiofonico / dj. Ha provato a farlo anche dopo, ma veniva puntualmente licenziato (o sbattuto fuori, come gli capitava in classe!). Senso dell'umorismo sempre attivo, anche a sproposito. Da lì ha capito che la carriera freelance gli si addiceva di più.
- Non andava mai alla LucasArts a registrare, c'era un piccolo studio nella contea di Marin, per questo non interagiva con i team dietro ai giochi, ma essenzialmente con Khris Brown, con la quale lavora ancora oggi. Quest'ultima dice sempre di dovergli la vita, perché fu lui ad accorgersi che aveva parcheggiato con una ruota che dava nel vuoto, sul precipizio di un'altura vicina al bucolico studio di registrazione!
- Il suo contributo fu nodale nel caratterizzare Murray in Curse of Monkey Island: non sapevano bene come impostarlo, così lui suggerì di concentrarsi sulla sua frustrazione, sull'impossibilità di agire concretamente, visto che è un teschio senza corpo. Negli anni non è cambiato, anche se si è ritenuto "opportuno" ridurre via via l'accento newyorkese-yiddish che aveva all'inizio, e ora è più che altro un anziano bilioso. La LucasArts era un posto particolare, perché gli fu consentito di improvvisare. Prima si cercava comunque il take fedele al testo, poi davano agli attori la libertà di costruirci qualcosa.
- A 73 anni si considera quasi in pensione, ma valuta sempre se ci sono offerte interessanti (come la riproposta di Murray in Return). Semplicemente non le insegue più e prende la vita come viene.
- Non perdetevi il timecode 58:00, verso la fine, quando Danny improvvisa due pubblicità per il canale YT di Curtis, nei panni di Murray e del Tentacolo Viola!
Ex-Lucas sperimentano con prototipi
Tra le produzioni che scopriamo pubblicate nella loro interezza e i crowdfunding, esiste un'altra via, quella dei prototipi. Negli ultimi anni alcuni ex-autori della LucasArts si sono cimentati in propri esperimenti rimasti per ora senza seguito, eppure recuperabili in rete.
- Solo negli ultimi giorni abbiamo per esempio scoperto che David Fox e Gary Winnick nel 2019 meditavano di aprire una linea editoriale "Comicactive", realizzando il prototipo di Nowhere Girl. Si tratta di un adattamento di un fumetto di Winnick, reso interattivo da Fox via Unity, con una bella regia sui quadri delle tavole, inframmezzati da sezioni punta & clicca (minimaliste), nelle quali si controlla la protagonista. In questi momenti i fondali sono a cura di Mark Ferrari, e c'è un ottimo sound design di Jared Emerson-Johnson e Julian Kwasneski, con un doppiaggio professionale. Il gameplay potrebbe essere più profondo, e ho qualche remora sull'integrazione delle animazioni di Winnick negli sfondi di Ferrari, ma l'ho trovato piuttosto divertente: la storia in stile Marvel ha uno humor surreale extra che mi ha fatto sorridere. Scorre bene. C'è una base interessante per un passatempo casual.
- In autunno avevo provato su Steam SuperSecret (2021), interamente scritto e realizzato da Joe Pinney, un adepto della Lucasfilm Games di rado ricordato, ma che ha in silenzio attraversato molte realtà e titoli storici, dal primo Monkey (come tester) arrivando alla Telltale Games, come sceneggiatore e capo-progetto. Usando asset grafici e sonori a pagamento, Joe ha messo su questa stramba esperienza. Per un euro e mezzo si porta a casa il primo capitolo di una storia molto astratta e visionaria, in terza persona a controllo diretto, in un ambiente 3D. Il ragazzino che impersoniamo non ha nome e non sa esattamente perché si trovi prigioniero di una struttura ludica con personaggi alquanto folli che interagiscono con lui: il game design si basa su puzzle ambientali e meccanismi, da attivare tramite piattaforme. Ho trovato molto accorto l'uso degli asset già pronti, tanto da generare un'atmosfera personale, il che con queste premesse produttive pauperistiche non è poco. Curioso, ma davvero ci sarebbe bisogno di altri episodi per capire dove voglia andare a parare. Joe ha di recente fatto da consulente per la sceneggiatura di Return to Monkey Island.
Gobliiins 5: intermezzo affettuoso
Vogliate scusarmi, so che non ha nulla a che fare con LucasArts, suoi adepti e filiazioni, ma mi prendo qualche rigo per porre alla vostra attenzione il fresco punta & clicca Gobliiins 5 del mitico Pierre Ghilodes (che a proposito si pronuncia "jilòd", con la "j" del francese "jeu"). Come ricorderete, un anno fa fui tra i sostenitori del progetto in crowdfunding su Ulule, ma Pierre è andato poi anche su Kickstarter, per raccogliere la seconda metà del totale budget finale stra-indie di 14.000 euro circa. L'autore dei primi tre Goblins (1991-1993) e Woodruff and the Schnibble of Azimuth (1995) per la Coktel Vision, nonché del contestato Gobliiins 4 in 3D del 2009, è tornato a colpire. Caratterizzò anche lui gli anni Novanta delle avventure grafiche... e garantisco che ha ancora qualcosa da dire. L'ho raccontato sul forum di Oldgamesitalia.
Ron Gilbert su storie e videogiochi al Ludonarracon
A diversi mesi dalla pubblicazione di Return to Monkey Island, il nostro Ron Gilbert si sta prendendo una pausa dalle avventure, lavorando al suo mini-rpg action. Ha trovato il tempo per due chiacchiere in occasione dell'ultimo LudoNarraCon, la convention virtuale sulla narrazione nei videogiochi. Cos'ha detto?
- La narrazione nei videogiochi è cambiata negli anni? Per lui meno di quanto si pensi. Rispetto al suo esordio "narrativo" con Maniac Mansion certo si è modificata l'interazione, e la tecnologia migliorata oggi arricchisce la narrazione con mezzi che prima non c'erano, come il doppiaggio, l'alta risoluzione e anche il 3D, se usato magari per trasmettere l'idea di esplorazione di un ambiente. Il raccontare comunque si rifà a consuetudini eterne, qualunque sia il mezzo, e i videogiochi non fanno eccezione.
- Questo non significa che non ci siano aspettative diverse nei contenuti: quando ha iniziato lui, si tendeva all'umoristico senza pensarci troppo, ora un'esperienza recente che ha provato, South of the Circle, è un buon esempio di come ci sia ricettività anche per contenuti più seri e complessi (vi avrebbe inserito più interattività, però). Lui non riuscirebbe a impostare una storia totalmente seria: in Return to Monkey Island il sottotesto serio c'è, volutamente, ma non riuscirebbe ad andare al di là di quello: una volta ha anche provato a scrivere qualcosa di drammatico, ma si è rapidamente trasformata in una cosa comica, o al massimo intrisa di umorismo nero.
- Lui ha sempre detto che Return to Monkey Island non era concepito per essere nostalgico (tanto che ha scartato la pixel art proprio per evitarlo), eppure è pur sempre un recupero di un marchio amato e che ha un posto importante nella sua carriera: contraddizione? Non è che Return non affronti la nostalgia, ma non la incarna: l'affronta come argomento. Non solo Guybrush stesso nella storia ci si confronta, ma "Boybrush", suo figlio, è per Ron una sorta di personificazione della questione: c'è un confronto con la propria infanzia. Quando ripensi a qualcosa che hai vissuto da ragazzino, è assai probabile che il tuo ricordo sia falsato, da lì la tematica del raccontare o ricordare in modo più o meno fedele. È il taglio nuovo che ha fatto pensare a lui e a Dave Grossman che ci fosse margine di manovra per presentare un altro Monkey Island non "tanto per". Non si preclude di lavorare ancora in futuro su Monkey Island, ma ci vorrebbe una motivazione altrettanto forte per proporre qualcosa di sentito, un approccio del tutto nuovo: "Guybrush, Elaine e LeChuck sono stati ormai fatti tante e tante volte, se avessi qualcosa di assolutamente interessante da proporre, penso che la farei, solo che ora come ora non so cosa sia."
- Scrivere per un gioco senza doppiaggio è ben diverso dallo scrivere in funzione di una recitazione: durante la lavorazione di Return alcuni tester avevano notato sgrammaticature, eseguite però da lui e Dave di proposito, pensando a una lettura più naturale da parte degli attori. È bene non fossilizzarsi sull'idea di una voce, perché i provini possono farti cambiare idea sul taglio da dare a un personaggio. Nel caso di Return comunque il processo è stato parzialmente semplificato, perché sapevano già che Dominic Armato sarebbe stato Guybrush, e hanno scritto i suoi dialoghi già avendo bene in testa il suo modo di parlare. Dominic è stato anche tra gli attori che aveva più opinioni sull'aderenza o meno di una battuta alla personalità di Guybrush, e a volte gli hanno dato ragione, modificandola.
- Cos'è cambiato tra l'epoca di The Secret of Monkey Island e Monkey Island 2: LeChuck's Revenge, e quella indie ma pur sempre moderna di Return? La riduzione del fattore "improvvisazione": alla Lucasfilm Games si interagiva con gli altri per tutto il giorno, ti veniva un'idea buffa a pranzo, chiacchierando, e la implementavi. Volenti o nolenti, oggi la maggiore complessità tecnica/produttiva obbliga a una maggiore pianificazione, magari per rispettare i tempi della pipeline grafica, o per chiudere il copione in funzione del doppiaggio. Per lui rimane ad ogni modo importante non definire tutto troppo in anticipo: "Ci sono designer che stilano documenti di 300 pagine prima di iniziare a lavorare, io diventerei matto. Faccio tipo tre pagine. Per me lavorare su un gioco significa trovare la via strada facendo." Anche per questo motivo ama gestire team piccoli, per fomentare la creatività e il contributo di tutti: nonostante il lavoro in remoto sia molto comodo per coinvolgere persone da tutte le parti del mondo, ammette che si perde la magia dell'interazione libera e casuale in uno studio.
- Vede troppe avventure grafiche oggi che cercano di imitare l'impostazione di Monkey 1 e simili, verbi inclusi, gli piacerebbe che si provasse ad andare oltre: lui stesso ha fatto parte del club con Thimbleweed Park, ma in quel caso si trattava appunto al 100% di un gioco nostalgico, e la presenza di quell'interazione era alla base del patto con i sostenitori [ma l'utente medio di avventure grafiche è spesso un "sostenitore ideologico", secondo me, più che un cliente, ndDiduz]. Certo le modifiche spaventano, e nonostante ritenga Firewatch un'avventura grafica, sa che molti non sarebbero d'accordo. In ambito punta & clicca ha trovato innovativo l'approccio di Dropsy, oppure di Later Alligator, anche se si basa su minigiochi. Cita pure Storyteller, non tanto come genere, visto che è un puzzle game, ma perché mette comunque al centro l'idea di narrazione.
- La cosa buona del mercato videoludico attuale, rispetto a quello di trent'anni fa, è la sua ormai gigantesca ampiezza: per Gilbert, se il mercato in generale è forte e in salute, cresce la possibilità di abitarne una nicchia come quella delle avventure grafiche, potendo fare affidamento su una percentuale di persone che garantiranno il senso dell'impresa. Non con numeri da tripla A, ovviamente.
- La tendenza di ogni arte è quella di raggiungere una fase di stallo, in una comfort zone, bisognerebbe avere il coraggio e la forza di superarla per tornare davvero interessanti e stimolanti. E lui? Ama la rivoluzione o il comfort? "Amo fare quello che mi interessa, indipendentemente da quello che penso alla gente interessi". Fa l'esempio del piccolo gdr d'azione sul quale sta lavorando da un po': è una cosa proprio non-narrativa, e ora gli va bene così, anche per cambiare aria, dopotutto ama i titoli alla Nuclear Throne.
- Cosa lascerà al mondo del videogiochi, di cosa è più fiero? Non gli piace pensare in modo così retorico, però è fiero di due cose, principalmente: dell'aver dato un contributo storico alla creazione del genere punta & clicca, e delle 20 milioni di copie vendute dei giochi Humongous, molto più di quanto abbiano mai venduto gli altri suoi lavori. Gli piace l'idea che tanti abbiano scoperto i videogiochi con quelle avventure per bambini, adora l'idea di unire le generazioni col gioco (concetto divenuto letteralmente contenuto della storia in Return).
Spudorate autopromozioni videoludiche
Seconda interruzione del flusso lucasdelirante, per due notizie riguardanti miei non-lucas deliri, ma sempre ludici.
Ricordate la mini avventura testuale L'Audace Recupero della Pecora Pacuvia, che ho pubblicato per Commodore 64, Amiga, MS-DOS, Olivetti M10 e Windows a dicembre? Ebbene, ho ricevuto l'emozione di una recensione sull'ottavo numero del nuovo corso di Zzap! L'effetto che fa ritrovarsi su quelle pagine storiche è indescrivibile. In più, nel poco spazio dedicato a Pacuvia (ma commisurato al progetto!), la recensione copre diversi aspetti che mi stavano a cuore, mettendoli perfettamente a fuoco. In un numero che ospita un evento epocale come A Pig Quest, il mio 66 è un vero onore. E lo dico senza ironie.
Un paio di settimane fa ho ultimato e pubblicato la revisione della mia traduzione dell'immortale It Came From the Desert, versioni Amiga e MS-DOS. La prima versione della traduzione risaliva a 20 anni fa, pensate! Al di là di tutte le novità che vi spingo a leggere nella guida in PDF se siete interessati, ho incluso un estrattore di ADF (i file immagine dei floppy Amiga) dalla Cinemaware Anthology su Steam. Trovo importante sostenere la preservazione e la migliore emulazione legale di questo patrimonio. Ho inserito l'estrattore nel pacchetto, però l'ho anche caricato a parte su PC Gaming Wiki, oltre a segnalarlo sullo stesso Steam.
Bill Tiller si racconta a oltranza, scatenato
Sì, non potrei metterla diversamente, perché la "conversazione" di Bill Tiller sul canale YT "Conversations With Curtis" è diventata sostanzialmente un monologo di 3h e 45m!!! Il mitico grafico dei fondali di Curse of Monkey Island nonché creatore di A Vampyre Story è tornato su vicende che aveva già raccontato in altre occasioni (anche molto di recente): proprio per questa ragione mi concentro su alcuni concetti, sorvolando sulle inevitabili ripetizioni...
- Bill spiega che la sua propensione per il disegno fu chiara sin dalla tenera età: a differenza degli altri bambini, disegnava spontaneamente già in prospettiva!
- Elenca tutte le personalità del mondo dell'animazione americana che incrociò all'accademia CalArts, come insegnanti o coetanei compagni di corso: Joe Ranft (compianto), Chris Buck, Ash Brannon, Glen Keane, Brad Bird, Mike Giaimo, Pete Docter.
- Ricorda che, quando arrivò alla LucasArts nel 1992, svolse le prime prove con Sean Turner, un grafico legato anche all'Industrial Light & Magic, attivo su Monkey Island 2 e Day of the Tentacle, in quelle settimane in lavorazione. Tiller rivela che peraltro fu proprio Turner a salvare la situazione riguardante lo stile dei personaggi di The Dig: Clark non li voleva cartoon, Bill pensava che cartoon sarebbero stati più facili da animare e più leggibili, e Sean suggerì di colorarli con un'ombreggiatura alla Chi ha incastrato Roger Rabbit, senza linea di contorno. Una via di mezzo.
- Secondo lui, iniziò davvero ad attirare l'attenzione dei colleghi quando animò la morte del quarto astronauta, Toshi Olema, nella seconda versione di The Dig di Brian Moriarty, causata da una pioggia acida. Il personaggio fu poi segato dal gioco finito, nel rispetto della dinamica del terzetto del film Il tesoro della Sierra Madre, ispirazione del progetto. Intanto però tutti avevano capito che Bill sapeva il fatto suo.
- Della lavorazione di quella versione di The Dig, Bill ricorda la sua invidia, quando seppe che Steven Spielberg aveva accompagnato di persona Moriarty e l'allora capo-grafico Bill Eaken a provare la giostra di E.T. in un parco a tema, facendo loro saltare l'intera fila!
- Per Tiller The Dig si salvò perché Sean Clark, spalleggiato da lui in qualità di promosso capo-grafico durante la terza e ultima incarnazione dell'avventura, impose al team di dimenticarsi delle ansie da prestazione "per soddisfare Steven Spielberg", richiamandoli a dare semplicemente il massimo con un'avventura grafica: per tradizione alla Lucas le sapevano fare a prescindere, in fondo! Si respirava una rivalità interna tra la loro squadra e quella di Tim Schafer al lavoro su Full Throttle: invidiavano la libertà creativa di quegli altri, ma quelli invidiavano l'attenzione che il marketing riservava a The Dig, per il fattore Spielberg! Non che mancassero tensioni tra Clark e Tiller, il quale propose come interfaccia per The Dig un menu a scomparsa in stile Full Throttle, che però Sean non aveva alcuna intenzione di copiare, per principio. Sull'idea di creare i personaggi con attori in FMV però la spuntò Tiller, contrario.
- E Bill aveva i suoi motivi per essere contrario all'uso delle riprese con attori, perché - nella pausa tra la seconda e terza versione di The Dig - era stato iniziatore della pratica alla LucasArts, a causa della sequenza che chiese di girare lavorando su Star Wars: Rebel Assault (l'aneddoto ve l'ho già riassunto qualche mese fa). Non era una soluzione adatta per tutte le stagioni, e a suo parere questa pericolosa illusione contribuì alla cancellazione di Indiana Jones and the Iron Phoenix: il suo amico Anson Jew aveva ideato uno stile art déco bellissimo per i personaggi, più grandi nonostante l'avventura fosse pensata in bassa risoluzione, ma uno dei (tanti) motivi per cui la produzione s'impantanò fu l'insistenza del direttore artistico Bill Stoneham sul realismo. Si pensò di creare i personaggi con attori ripresi dal vero, ma per Bill era assurdo anche solo pensare a una persona qualunque al posto di Harrison Ford. I test vennero male, si perse ulteriore tempo e il gioco già in difficoltà fu cancellato. Se non avesse avviato la valanga del FMV chissà cosa sarebbe accaduto...
- Tiller suggerisce, ma senza certezze, basandosi solo su sue impressioni, che il mancato coinvolgimento di Ron Gilbert in The Curse of Monkey Island si dovesse al fatto che tra Ron e l'allora presidente della LucasArts Jack Sorensen non corresse buon sangue... a causa dell'accordo poco chiaro tra la LucasArts e la Humongous sull'uso dello SCUMM. Ad ogni modo, come ha detto altre volte, non riteneva sacrilego lavorare su un marchio senza il suo creatore, e si fece in quattro per ottenere la sua posizione nel team, così come aveva lottato per adattarsi a The Dig. Amando poi lo stile cartoon più di quello realistico, non vedeva l'ora di potersi scatenare!
- Non c'erano i social all'epoca, ma sa bene che alcuni fan non hanno mai accettato lo stile esagerato di Curse, anche perché nella LucasArts stessa c'era chi era alquanto perplesso dalle scelte di Larry Ahern, che con Jonathan Ackley codiresse e scrisse il gioco. Per Bill, passando (finalmente!) al 640x480 dal vecchio 320x200, bisognava prendere una decisione su come gestire il maggiore livello di dettaglio: animare immagini come i primi piani pittorici di Ian McCaig per le versioni VGA di The Secret of Monkey Island sarebbe stato fuori questione, perché impraticabile a livello produttivo, per complessità e tempi. A prescindere dai gusti, non esistono per lui stili "oggettivamente brutti", ma soltanto scelte, che - ricorda - devono sempre pur tenere in conto pragmaticamente della logistica produttiva. Commentando le polemiche estetiche su Return to Monkey Island, capisce perfettamente la logica dietro alla tecnica d'animazione utilizzata, la più equilibrata nel garantire molti movimenti e scene, senza pesare su un budget indie. Il suo Vampyre Story aveva i personaggi in 3D e costò troppo, limitando la vastità e la lunghezza dell'esperienza.
- Contrariamente a quello che ci si aspetterebbe da un fanatico dell'illustrazione bidimensionale 2D a mano libera come lui, Bill dice di amare il lavoro sul 3D: semplicemente non gli piace modellare, ma ama studiare illuminazione e texture. Anche per questo motivo conserva un ricordo bellissimo della lavorazione di Indiana Jones e la Macchina Infernale, dove s'intese alla grande con Hal Barwood. Non gli dispiace affatto lavorare sulle licenze, pure con rispetto maniacale: insistette per esempio per avere un modello di Indy più sporco, per interpretare meglio l'anima da avventuriero del personaggio. Ammette tuttavia che si avvicinò al 3D perché sognava di trasferire nelle tre dimensioni Monkey Island, come si vede dal celebre easter egg della Macchina infernale, farina del suo sacco.
- Bill torna sull'idea che ebbe per il "suo" Monkey Island 4, peraltro non disprezzata dai capi: una storia sullo stile degli Incredibili (ante-litteram, era il 1999!), dove Guybrush con famiglia a carico e giorni di pirateria apparentemente alle spalle, accettava una missione per rivivere i giorni di gloria, senza dirlo a moglie (e figli). Quando però si decise di procedere davvero con un quarto Monkey e altri progetti in fasce di Clark e Mike Stemmle naufragarono, il management ritenne più opportuno affidare a loro un'avventura grafica, visto che avevano un curriculum in merito.
- Nella difficoltà di farsi approvare un lavoro proprio, dopo per giunta la cancellazione del Full Throttle "Payback" che stava impostando con Ahern nei primi Duemila, Tiller decise di levare le tende. Oltretutto, per volere di George Lucas, la LucasArts aveva una regola: avrebbe posseduto qualunque tua proposta, anche se non si fosse mai realizzata. Il che rendeva consigliabile non aprirsi troppo, per non bruciare per sempre un'intuizione: tappandosi la bocca ha salvato così A Vampyre Story, perché l'idea e i personaggi gli erano venuti in mente proprio nell'ultimo periodo lucasiano.
- A Vampyre Story, finanziato dalla Crimson Cow, ebbe un budget più ampio di Ghost Pirates of Vooju Island. Quest'ultimo fu scelto dall'altro editore DTP Anaconda fra tre proposte: un noir popolato di personaggi con volti di attori noti dell'epoca, una storia di fantascienza alla Flash Gordon e una storia di pirati. Tiller non nasconde che tenesse di più alle altre due proposte, trovandole una sfida nuova, ma per i trascorsi monkeyislandiani ovviamente i soldi furono scuciti per seguire la scia piratesca. Il successivo Duke Grabowski, ambientato nello stesso universo, era concepito invece come una serie episodica, ma il primo capitolo non ha mai riscosso tanto successo da proseguire la serie, vendendo sulle 25.000 copie (né aiutò che quasi mille persone l'avessero già, avendone sostenuto il Kickstarter). A Vampyre Story 2 era completo al 20-25% quando capì che la Crimson Cow non sarebbe stata più in grado di finanziarlo.
- Al di là dei suoi progetti avventurieri, cosa ha fatto negli anni dopo la LucasArts? Ha lavorato come art director per la Midway su svariati titoli dal 2002 al 2006, poi sul casual Snuggle Truck (2011) e sull'FPS mobile Bounty Bots (2012), degli amici ex-lucasiani Munkyfun.
- Le avventure grafiche comunque hanno un vantaggio rispetto agli altri generi: possono continuare a vendere stabilmente nel tempo. Non molla su A Vampyre Story 2, dato che il primo capitolo negli anni è arrivato comunque a 100.000 copie vendute. Mentre lavora sul demo di questo secondo atto (come vi avevo raccontato nello scorso aggiornamento), continua il suo percorso di artista: ha curato l'artwork del gioco da tavolo Shivers (per il quale ha scritto scenari anche Ahern!), sfidandosi a creare elementi in cartoncino pop-up. In cantiere ha un libro illustrato dal titolo "Monster Mary". In tutto questo, non smette mai di fornire i propri servigi grafici da freelance.
In chiusura, segnalo che è da qualche giorno online un altro monumentale video di Conversation With Curtis, questa volta con uno che non parla mai, Aric Wilmunder, il manutentore ufficiale dello SCUMM alla LucasArts. Quattro ore e mezza sono state troppe per le mie forze residue questo mese. Rimando, merita attenzione.
Glielo devo poi da febbraio, ma me ne sono ricordato solo ora: Mirko Reggiani si è fatto tatuare Monkey Island, da fan indomito come io non potrei mai essere. Per la cronaca, il tatuatore è Alessandro Conti. ;-)
Ciao,
Dom
30-4-2023
Salve a tutti. Prima di cominciare, vorrei concedermi una brevissima autopromozione sfacciata: io ed Elisa siamo riusciti a pubblicare il secondo volume dei nostri libri-gioco per bambini, Brico Bear: Su e giù al Luna Park, seguito di Brico Bear: Missione Blackout! del 2021. Magari vi interessa se state meditando un acquisto del genere per bambini o bambine sui 6 anni.
Okay, la pianto. Ora Lucasdelirium!
L'epocale Double Fine Psychodyssey
32 puntate, alcune di oltre un'ora: mi ci è voluto del tempo per terminare la visione della Double Fine Psychodyssey, il colossale documentario col quale i 2 Player Productions hanno raccontato non solo la lavorazione di Psychonauts 2 e del suo spin-off Psychonauts in the Rhombus of Ruin, ma soprattutto oltre sei anni di vita professionale ed emotiva di un gruppo di persone nella Double Fine di Tim Schafer. Da più parti si lo si sta considerando come il documentario definitivo sulla realizzazione di un videogioco: per quanto rimanga affezionato alla precedente Double Fine Adventure, che raccontò il celebre Kickstarter del 2012 e Broken Age, questo lavoro rappresenta qualcosa di diverso... e per certi versi è potente, senza gli sconti che pure erano stati fatti nell'occasione precedente.
Per la mia analisi / riflessione su quanto ho visto, non sono riuscito a trovare un titolo migliore se non "La spietata odissea psichica della Double Fine": chiunque pensi ancora che questi documentari patrocinati da Tim esistano come assoluzione o ruffiana autopromozione, probabilmente non sarà mai arrivato fino alla fine di questa bomba.
Gary Winnick si racconta
L'ormai indefesso canale Conversations With Curtis ha intervistato il buon vecchio Gary Winnick, con Ron Gilbert iniziatore della tradizione lucasiana, con la creazione di Maniac Mansion. Toccando anche la rimpatriata del 2017 con Thimbleweed Park, Gary ha detto quanto segue.
- A 12-13 anni decise che voleva disegnare fumetti. Al liceo disegnò per alcune fanzine, poi nel 1972, dopo il diploma, decise di partire alla volta di New York per sfondare nel mondo dei comics. Fece apprendistato con Neil Adams, poi però tornò in California, dove scoprii il mondo dei computer, comprando un Atari 800 (ma non riuscendo a programmarci!).
- Proprio nei primi Ottanta l'Atari andava in cerca di veri grafici, quando si capì che i programmatori non potevano fare più tutto da soli, com'era successo fino a quel momento. Tramite un amico presentò il suo curriculum e iniziò a lavorare nell'industria, per esempio sulla conversione casalinga di Dig Dug. Rimase all'Atari solo per otto mesi, poi tramite l'amicizia con Charlie Kellner fece un colloquio alla neonata Lucasfilm Games. Primo impegno: creare gli alieni Jaggy per Rescue on Fractalus! di David Fox.
- In seguito Gary lavorò sulla grafica statica di The Eidolon e Labyrinth, primo titolo su una licenza cinematografica Lucasfilm (ricordo che non potevano paradossalmente realizzare giochi di Star Wars e Indiana Jones in quel momento, perché le licenze videoludiche erano affittate a terze parti!).
- L'amicizia con Ron Gilbert sbocciò immediatamente, quando quest'ultimo arrivò alla Lucasfilm Games per convertire Koronis Rift sul Commodore 64. Scoprirono di avere molto in comune e si divertivano soprattutto a guardare b-movie, in un'atmosfera di goliardìa quasi da dormitorio universitario. Fu allora che pensarono alla storia e all'ambientazione di Maniac Mansion, anche perché in quegli anni andava di moda l'horror umoristico (Gary ricorda la versione musical di La piccola bottega degli orrori con Rick Moranis). Qui Winnick ricostruisce tutta la genesi di Maniac, raccontata da me anche nella scheda del gioco.
- Era davvero un'altra epoca: Gary ricorda Ron che andò fisicamente, in macchina, a portare i master dei floppy nel luogo in cui sarebbe avvenuta la duplicazione (della quale per la prima volta la Lucasfilm Games si occupò direttamente, Maniac fu il loro primo titolo autopubblicato negli Usa). Riflette pure sulla lentezza con la quale in quegli anni avevi un qualche feedback dai giocatori o dalla stampa, in assenza di internet.
- Una delle cose più difficili da gestire in Maniac fu la possibilità di scegliere personaggi diversi con cui giocare, dalle capacità differenti, rapportandosi alla soluzione degli enigmi in modo diverso. Per quanto riguarda la grafica, ringrazia ancora Ron per aver creato un'utility che gli permetteva di disegnare i fondali sul C64 come preferisse, per poi automaticamente proporgli una compressione in un massimo di 256 caratteri di 8x8 pixel (disegnare direttamente tenendola presente sarebbe stato più difficile e... inibente!). I personaggi invece avevano teste enormi semplicemente perché pensò che, con la risoluzione così bassa (160x200 nel multicolor mode del C64, ndDiduz), fosse l'unica maniera di distinguerli correttamente e di leggere delle espressioni sui loro visi.
- Per Loom fu lui a decidere per un look che ricordasse il lavoro di Eyvind Earle sulla Bella addormentata nel bosco della Disney, anche se poi fu Mark Ferrari (assunto da lui!) a dargli vita nei fondali, grazie alle sue capacità col dithering. Gary si occupò delle animazioni, ma alcune sequenze particolari, le cosiddette "special case animations", furono realizzate da Steve Purcell.
- Intorno al timecode 40:00 Gary mostra le sue illustrazioni originali preparatorie per i personaggi e le location di Maniac!
- Quando i Monkey vennero realizzati, a quel punto Winnick era diventato il direttore artistico dell'azienda, e non ci lavorò direttamente quasi per nulla. Tra l'altro era impegnato nella grafica e nel design dell'action per NES Defenders of Dynatron City (1992), che andò male, nonostante fosse stato pensato con una strategia promozionale "crossmediale" (si direbbe ora): un pilot animato per Fox Kids prodotto dalla JVC, un fumetto con la Marvel. Gli sarebbe piaciuto se fosse diventato una serie, come invece accadde in malo modo a Maniac Mansion, adattato in una goffa sitcom che col gioco aveva in comune solo il nome (nessuno si consultò con lui o Gilbert, né era scontato che lo facessero, perché la Lucasfilm gestiva i marchi come riteneva giusto e loro erano di fatto solo impiegati).
- Curiosità: durante la post-produzione del film Indiana Jones e l'ultima crociata, il sound designer Ben Burtt aveva bisogno di registrare nuovamente il suono chiaro della frusta, ma lo specialista che la maneggiava non era disponibile. Steve Purcell salvò la situazione, perché per curiosità aveva imparato a usarla mentre realizzava le animazioni per l'avventura grafica!
- Lasciò la LucasArts dopo il 1992, perché a quel punto "non era più divertente com'era un tempo" e il marketing aveva iniziato a dettare legge, mentre prima in sostanza gli autori dei giochi creavano quello che preferivano. Gli fu offerto un lavoro da direttore artistico presso la Spectrum Holobyte, per una cifra ben più alta di quella che gli davano alla Lucas, così accettò. L'ultima cosa che fece alla LucasArts fu il brainstorming per il soggetto di Day of the Tentacle, un gioco che trova bellissimo, anche se non ha molto a che vedere con lo spirito originale di Maniac.
- Alla Spectrum Holobyte lavorò su Star Trek Final Unity e su un'attrazione di Star Trek per la Paramount, poi con un ex-collega della Lucasfilm Games, A. J. Redmer, fondò gli Orbital Studios, che realizzarono tra il 1995 e il 1997 per la Virgin due giochi per i più giovani, Forced Alliance: The Glarious Mandate e Dinonauts: Animated Adventure in Space, anche progettato da lui (a quest'ultimo lavorò con Lela Dowling, passata pure lei per la LucasArts).
- In seguito ancora ha svolto lavori da freelance con la sua Light Source per Yahoo (contribuendo alla creazione grafica degli avatar che l'azienda voleva per i propri utenti) e ha cercato di avviare, senza successo, un gruppo di sviluppo chiamato Suddenly Social, insieme ai vecchi amici Noah Falstein e Chip Morningstar.
- Thimbleweed Park nacque perché lui e Ron un giorno, mangiando insieme, recriminarono sul fatto che non si divertivano più come ai tempi di Maniac: "Perché allora non torniamo a divertirci?" Lanciarono il Kickstarter e attirò molta più attenzione e fondi del previsto. È contento del risultato e tuttora ne gode i proventi, che gli hanno permesso di dare più spazio alle sue attività preferite, l'illustrazione e i fumetti. Non ha rimpianti su Thimbleweed: siccome è stato un progetto indipendente, sono stati in grado di migliorarlo e di aggiungervi cose con delle patch senza dover dar conto di nulla a nessuno.
- Non gioca molto, all'epoca di Thimblweed provò alcune avventure contemporanee, ma più che altro per capire quale fosse il tipo di proposta medio per un'avventura grafica in quel periodo, per capire la concorrenza.
Return to Monkey Island: Jennifer Sandercock e la sfida della produzione
Già producer, co-programmatrice (e co-dialoghista) di Thimbleweed Park, la prode Jennifer Sandercock si è occupata della più complessa produzione di Return to Monkey Island e ha spiegato in un panel alla GDC le strategie che ha adottato per consentire a tutti di portare a termine l'impresa. Riassumo.
- Cosa rende per lei Return un "successo"? Il gioco è stato acclamato dalla critica, è stato consegnato con uno scarto di appena trenta giorni rispetto alla data pattuita, è costato poco più di quanto preventivato, e ha lasciato il team contento del lavoro svolto. È stato inoltre realizzato con un team di venticinque persone in totale segretezza, durante una pandemia e totalmente in remoto.
- È importante notare che i suoi consigli si riferiscono a un titolo in 2D (il 3D può cambiare molte dinamiche) e a un'assenza di sperimentazione radicale del gameplay nel corso della produzione, perché le modalità di interazione erano state definite e decise prima di partire.
- Dopo i primi tre mesi di pre-produzione, l'avventura era già giocabile interamente, con grafica provvisoria. Ogni elemento grafico ha ricevuto un massimo di tre passaggi per arrivare alla forma pubblicata.
- Come mantenere un segreto tale? I membri potevano dire di lavorare con Ron Gilbert su un'avventura grafica, ma non di lavorare su un gioco di Gilbert e Dave Grossman, perché l'associazione sarebbe stata subito sospetta. Ogni loro consultazione di siti web specializzati doveva avvenire mentre non erano loggati. Ogni postazione di lavoro doveva essere protetta da una porta. È stato redatto da lei un documento per chiarire al team cosa fosse ritenuto segreto e cosa no.
- Con quali mezzi hanno interagito? Zoom, Notion e Slack (qui senza usare thread, creando solo canali ogni volta che ce ne fosse bisogno, compresi canali ultra-provvisori per elementi transitori, tipo lo shader della giacca di Stan).
- A ogni nuovo arrivato nel team veniva dato un template di Notion per capire subito le coordinate del progetto e quello che avrebbe dovuto fare. A un altro membro del team già attivo da almeno due mesi veniva chiesto di "fare gli onori di casa" con la nuova persona, rispondendo alle sue richieste. Fogli appositi contenevano informazioni personali di ciascuno sviluppatore, in maniera tale che tutti sapessero in quali ore gli altri fossero attivi e conoscessero almeno a grandi linee le loro personalità. Hanno organizzato anche incontri opzionali di mezz'ora per parlare di tutto fuorché del gioco, per conoscersi meglio.
- Ogni lunedì successivo alle milestone (programmate per il venerdì) era automaticamente vacanza pagata per tutti: un modo di alleggerire lo stress accumulato negli sprint. Niente crunch: non bisognava domandare alcunché ai collaboratori al di fuori dei loro orari di lavoro, e non erano previsti premi per chi lavorasse al di fuori di quell'orario, onde non incentivare la pratica.
- Il foglio "What-I-Did" ("Cosa-ho-fatto-oggi") doveva essere compilato da ogni membro del team alla fine della propria giornata lavorativa. Questo permetteva a Jennifer di capire a quale velocità procedessero determinate lavorazioni, eventualmente per ridistribuirle, e a tutti per avere in caso di necessità un'idea di come si stesse procedendo.
- Una volta per ogni sprint era prevista 1 ora di gameplay in streaming, aperto a tutto il team. Una volta al mese uno di loro parlava a tutti più a fondo della sua area di specializzazione, per essere sicuro che gli altri capissero il suo metodo di lavoro e le relative tempistiche.
- Le riunioni, questione spinosa. Vanno mantenute brevi, azzerando i tempi morti, selezionando accuratamente chi coinvolgere e quando lasciare andare le persone. Mantenere basso il numero delle riunioni, per non intralciare il ritmo di lavoro, ma non troppo basso da renderle poi troppo lunghe o inutili. Possono essere anche solo limitate all'audio se si parla di aggiornamenti rapidi su qualcosa, altrimenti è meglio un'interazione anche visiva. È fondamentale prendere appunti durante la riunione, per futuro riferimento.
- Come e più delle riunioni, gli sprint vanno pianificati accuratamente, calcolando quante mansioni dare a ciascun membro e pesandone la durata (che varia a seconda della loro area di specializzazione: programmazione, grafica, etc.). Troppi sprint con troppe cose da fare per ciascuno portano solo allo stress: se si è nel dubbio, meglio assegnare poca roba e dare a ciascuno la piacevole sensazione di essere rimasto con del tempo libero per fare qualcosa dalla lista degli "extra" (anche quella già pronta). "In realtà, lo sviluppo di un videogioco è più una maratona".
- Lo sviluppo era suddiviso in: sprint di 2 settimane - stage (composto da 2 sprint in 1 mese) - milestone (3 stage, cioè 6 sprint in 3 mesi).
- Da producer, ascoltava le problematiche sollevate da qualcuno, però non cercava mai di reagire al momento: è necessario del tempo per pensare a come risolvere un problema, specialmente per verificare che la possibile soluzione non diventi una fregatura per qualcun altro.
- I playtester registravano le proprie partite su Zoom, con pochissimi membri attivi, per non intimidirli. I video con i risultati dei playtest venivano poi discussi.
- Ogni tanto organizzavano delle riunioni su "rischi & paure", per discutere tutti insieme di alcune preoccupazioni sul progetto, facili da perdere di vista quando ti concentri giorno dopo giorno sul particolare e non sul generale.
- Tagliare contenuti? Fa sempre male prospettarlo, ma prima di farlo bisogna capire cosa comporterebbe evitare il taglio: quanto costerebbe? Quest'informazione concreta va passata al finanziatore, che eventualmente deciderà se l'esborso aggiuntivo valga la candela (a loro è successo: sono andati di poco oltre il budget perché volevano assumere un altro animatore per arricchire l'esperienza: la Devolver e la Lucasfilm Games hanno accettato). Non bisogna avere paura di tagliare, ma nemmeno di aggiungere. Esempio: inizialmente le tre sfide su Brrr Muda erano in una location unica per il Municipio. Quando è stato deciso di dividere il Municipio in quattro location diverse, i fondali si sono moltiplicati, ma in compenso la rapidità di programmazione ne ha guadagnato, perché il codice delle tre sfide non si intrecciava nella stessa location.
- La gestione dei database è molto complessa (se siete interessati ai consigli pratici, vi consiglio di analizzare bene il video), ma qui posso riassumere che sono divisi in settori: stanze, inventario, skin dei personaggi, cutscene, asset per le animazioni, gruppi di animazioni, animazioni in Spine.
Return to Monkey Island: la rimpatriata musicale di Michael Land, Peter McConnell e Clint Bajakian
Sempre alla GDC, Michael Land, Peter McConnell e Clint Bajakian hanno tenuto un'altra conferenza sulle musiche di Return to Monkey Island. La colonna sonora è stato uno degli elementi meno discussi dell'avventura, per cui trovo particolarmente interessante la spiegazione del loro approccio nella rivisitazione di un passato comune. Riassumo.
- Come si sono conosciuti? Clint e Michael al liceo nel 1976 (!), poi Michael è andato a Harvard nel 1980 ed è diventato amico di Peter. Hanno suonato da sempre tutti insieme, sono rimasti tanto amici e ancora amano andare a mangiare in ristoranti italiani!
- Per lavorare su The Secret of Monkey Island, Michael rispose semplicemente a un annuncio letto su una rivista: sapeva che tipo di musica volevano, il reggae, e per fortuna aveva un minimo di esperienza in merito, avendo suonato con Josiah Kinlock, legato a Bob Marley. Il primo brano che scrisse fu, indovinate un po', proprio il mitico tema musicale, composto con una Roland MT-32.
- Land non era entusiasta della riproduzione delle musiche in semplici loop in Monkey 1, così invitò Peter e Clint alla LucasArts e con il primo creò l'engine iMUSE, tenuto a rodaggio con Monkey Island 2: LeChuck's Revenge. Soprattutto in questo gioco si sbizzarrì a comporre un numero notevole di variazioni di entrata e uscita per i vari brani, in modo tale che il tappeto musicale potesse variare continuamente nel modo più fluido possibile, rispettando le battute.
- Secondo Clint c'è un sottotesto di divertimento stupido nella serie di Monkey Island che dev'essere abbracciato da chi ci lavori: fa l'esempio del puzzle sul tema di LeChuck in Return, dove lui, Michael, Peter e Jared Emerson-Johnson hanno fornito i propri vocalizzi ai teschi canterini. Al di là di questo, l'esagerazione è una chiave per musicare i personaggi della saga, spesso stereotipi di qualcosa: Bajakian fa ascoltare la sua "Customs Ship", che prende in giro la grandeur del giudice Plank durante il controllo doganale in mare.
- Return naturalmente non usa più l'iMUSE ma l'engine esterno FMOD, che permette la stessa gestione dell'audio interattiva. Jared si è occupato di programmarla nel gioco, ma per quanto riguarda la composizione Clint spiega come si siano regolati: assegnavano ogni macroarea a uno di loro tre. Il compositore le dava una caratterizzazione musicale e un brano fondante: tutti i sottobrani delle varie location ("depictions") erano della stessa identica lunghezza del brano principale per consentire di sfumare uno nell'altro agevolmente, e nascevano come variazioni su questo tema, musicalmente compatibili tra loro.
- Peter si è occupato della produzione: le tre ore di musica sono state per la maggior parte registrate live a Nashville, con sfide logistiche causate dal Covid (lui, Michael e Clint non si sono mai incontrati di persona durante la lavorazione!), ma anche creative. Come accade spesso con le avventure grafiche, le richieste musicali si sono via via espanse, con sempre più dettagli da sottolineare narrativamente. Peter mostra i diagrammi che hanno preparato per ciascuna isola, poi un elenco degli strumenti musicali utilizzati (timecode 15:10, per chi se ne intende davvero ed è curioso). Era importante che lui, Clint e Michael componessero con in mente gli stessi strumenti, per rendere più solida l'omogeneità musicale del gioco.
- Secondo Clint, alcuni strumenti trasmettono a prescindere una sensazione: il clavicembalo per esempio proietta chi ascolta automaticamente nel Seicento-Settecento, mentre gli ottoni sono ideali per le sottolineature drammatiche. I legni tendono ad avere il sopravvento sugli altri strumenti, e bisogna tenerne conto.
- Peter spiega che le musiche di Return sono state composte costruendo sui temi di Michael, arricchiti da contaminazioni esterne. Nel suo caso, ha scelto citazioni di canti marinareschi, canzoni popolari e musica classica. Nei suoi brani si ascoltano citazioni o riarrangiamenti di cose come "Hullabaloo Belay" (riconoscete il "Guybrush's Floating Theme"?). Per il Municipio di Brrr Muda ha attinto al canto popolare norvegese Per Spellmann. Per Stan su Brrr Muda si cita Go Tell Aunt Rhody, ma perché? Perché la canzone popolare parla di una "vecchia oca grigia morta": in Monkey 2 Stan vendeva bare, e da allora quest'associazione con lo humor nero è rimasta nel tessuto musicale del personaggio. Quando Guybrush visita il giudice, scatta il Dies Irae. Nel palazzo della regina, sin da quando si sale, ci sono citazioni esplicite di Carl Stalling, il compositore dei Looney Tunes che rivisitò il Tannhäuser di Wagner in chiave comica (per il corto "What's Opera Doc?" di Chuck Jones, con Bugs Bunny e Taddeo).
- Wagner aveva inoltre definito il concetto di "leitmotif", un tema ricorrente che racchiude il senso ultimo di quello che si vuole trasmettere: Peter e Michael hanno deciso che per Return il leitmotif sarebbe stato costituito da cinque note (per le cinque chiavi che ossessionano Guybrush): la sequenza è mi-si-sol-fa diesis-la diesis. Il suo trionfo è su Terror Island (anche al contrario), e domina in chiave apocalittica sul finale sottoterra. Giustapporre la serietà ai momenti ironici potenzia l'umorismo.
- Clint a questo punto si lancia in una spiegazione molto specifica di come funzioni il suddetto sistema delle "depiction" su una struttura armonica comune, partendo dalle sue composizioni per l'Atto 2 sulla LeShip (7 brani che combinano il tema di LeChuck, il tema del cimitero di Monkey 2 - le prime otto battute di entrambi sono compatibili tra loro - più un pezzo originale). Alzo le mani: la mia ignoranza tecnica della musica non mi consente né di capire appieno il discorso né di riassumervelo efficacemente. Chi di voi però ne abbia le capacità, può ascoltare con attenzione il timecode 27:30-41:20 della conferenza. Bajakian si dice generalmente soddisfatto di come ha gestito quell'equilibrio tra tema e varianti, anche se a volte ammette che si sarebbe potuto spingere oltre con quest'ultime.
- Land ha strutturato i 48 minuti di musiche per Melee in 22 variazioni sul vecchio tema della mappa da Monkey 1: 16 battute, la maggior parte in chiave di do. Il primo passaggio per arrivare alla nuova versione è stato liberarsi del la bemolle, per rinforzare l'effetto del si bemolle (spero di aver tradotto e interpretato correttamente!!!). Com'è cambiato il suo modo di comporre i loop in trent'anni? Ha imparato per esempio che è meglio usare un numero di note non sempre uguale per ogni battuta: la varietà che se ne ottiene è più compatibile con la ripetizione, pesa meno. Per questa sezione della conferenza, vale lo stesso discorso fatto per quella di Clint: andate oltre i miei incompetenti riassunti, se siete musicisti, e ascoltate la spiegazione direttamente (fino al timecode 52:00).
- Non c'è stata spesso una netta separazione tra il lavoro di composizione e quello di orchestrazione, gli strumenti nodali per le singole composizioni erano già decisi dagli autori delle stesse.
- I brani erano consegnati completi, con le tracce degli strumenti già mixate e non separate, se non per poche eccezioni, specialmente da parte di Peter (gli strumenti che commentano le apparizioni di Stan in effetti sono giustapposti al brano sottostante, a sua volta asciugato di qualche voce quando la sovrapposizione avviene).
- Con il passaggio dal MIDI degli anni Novanta alle registrazioni dal vivo, si è perso il controllo più raffinato delle transizioni stile iMUSE? Per Michael sicuramente: una dissolvenza tra un brano e l'altro per lui non suona mai come l'inserimento pulito di una nota in tempo reale, proprio mentre un sintetizzatore esegue il pezzo (è una delle ragioni per cui Peter ha sentito il bisogno di articolare alcune sue tracce in più voci, per mitigare il problema). Peter comunque ridimensiona la perdita: un essere umano che suona dal vivo è una conquista, e compensa ampiamente l'assenza del controllo minuzioso sull'esecuzione. Clint immagina anche un approccio che sappia bilanciare strumentazione dal vivo e suoni sintetizzati per un matrimonio tra le due visioni.
Indiana Jones e il Quadrante del Destino in avvicinamento!
Sì, lo so, non bisogna farsi illusioni, ché poi si soffre. Però si vive pure una volta sola, quindi chi.se.ne.frega. Non sono rimasto proprio entusiasta del poster di Indiana Jones e il Quadrante del Destino (più che altro mi disturba il vuoto in alto a sinistra nella composizione), però il nuovo trailer per me tocca tutte le corde giuste. Ero rimasto affascinato nel precedente teaser dall'idea di vedere Indy accostato alla modernità, in chiave meno simbolica-apocalittica dell'atomica nel Teschio di cristallo. Continuo a ricevere soddisfazioni dal regista James Mangold, che azzarda un trailer di un Indiana Jones partendo addirittura da Sympathy for the Devil dei Rolling Stones. Spiazza. Spiazza bene. Il 28 giugno al cinema, per l'ultima volta con Harrison.
Calendario immediato
Non sono sicuro che questi titoli interessino a tutti come a me, ma attendo con molta curiosità l'uscita di alcune avventure narrative che tratterò qui su Lucasdelirium, perché sono tutte legate alla vecchia Telltale, in modi diversi. Ne ho scritto in passati aggiornamenti, ma ora abbiamo date d'uscita precise. Ricapitolando:
- Il 23 maggio i Dramatic Labs di Kevin Bruner esordiranno ufficialmente con Star Trek: Resurgence, per le Xbox, PS4/5 e Windows, per ora solo attraverso l'Epic Games Store (l'Epic è partner del progetto, che gira con l'Unreal Engine). Permane una certa perplessità su un aspetto grafico un po' scarno, tuttavia il mondo di Star Trek si adatta benissimo alle "scelte terribili" di derivazione Telltale, dei quali Bruner fu confondatore e dai quali provengono gli autori. In attesa dello Star Wars Eclipse della Quantic Dream, più direttamente vicino al nostro mondo, ci terremo occupati con la saga spaziale rivale (che pur vanta fan vip come Ron Gilbert!). Si tratta di una storia unica, non episodica.
- Dopo diversi slittamenti, il Night School Studio (da qualche tempo acquisito da Netflix) ha collocato l'uscita di Oxenfree II: Lost Signals il 12 luglio, per Windows, PS4/5 e Switch (curiosamente non per Xbox, forse il porting arriverà dopo). Il primo Oxenfree a inizio 2016 si guadagnò l'attenzione mia e di molti altri, e nel frattempo ulteriori ex-Telltale sono confluiti nel piccolo studio. Dopo il debole Afterparty (2019) bisogna rialzarsi. Mi è sempre piaciuto il loro taglio con visuale laterale, non-cinematografico.
- Dovrebbe essere quasi contemporanea ("estate") la pubblicazione del primo episodio di The Expanse, tratto dall'omonimo universo creato da Daniel James Abraham e Ty Corey Franck, per i loro romanzi e per l'omonima (ricchissima) serie tv. Per me è la proposta che promette di più: da un lato segna il ritorno del marchio Telltale come publisher (sotto nuovi proprietari), dall'altro l'avventura narrativa è realizzata dai Deck Nine, dei quali ho molto apprezzato di recente Life Is Strange: True Colors. Gli episodi saranno già pronti alla pubblicazione del primo, l'uscita a puntate ravvicinate (si vocifera un paio di settimane) ha il solo motivo di mantenere alta l'attenzione sul titolo per più tempo, riscaldando la community. Piattaforme previste: Xbox Series S/X, Playstation 5 e Windows (anche qui tramite Epic Games Store, sempre per ragioni di partnership).
In chiusura, sono consapevole che anche Bill Tiller si è lasciato andare a una chiacchiera monumentale di 3h 45m (!!!) con il canale Conversations With Curtis, ma non ho avuto ancora tempo di affrontarla. Ho cercato però nei sottotitoli la parte relativa al seguito di A Vampyre Story, perché mi sembrava più urgente. Bill dice di avere completato i fondali di un demo di A Vampyre Story 2, ora altri grafici stanno lavorando sulle animazioni, realizzate con un sistema simile a quello dei Telltale: esistono animazioni generiche per diverse parti del corpo, combinabili insieme per far recitare i personaggi tramite uno script. Sta anche semplificando l'interfaccia, per registrare meno dialoghi e velocizzare l'interazione, riducendo la quantità smodata di hotspot che c'erano nel primo gioco. Speriamo che il demo, una volta completato, convinca qualche editore/finanziatore!
Ciao,
Dom
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