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Un sogno su misura

La poetica dietro il ritorno a Monkey Island

by Diduz

Adesso che l'uscita di Return to Monkey Island ha posto fine a un'attesa trentennale, possiamo ragionare sugli strumenti che Ron Gilbert ci ha messo a disposizione, per leggere il gioco, la saga e i suoi personaggi. Quel che segue contiene naturalmente SPOILER, non solo di Return, ma anche dei capitoli che finora hanno composto la serie. In ordine cronologico, The Secret of Monkey Island (1990) e Monkey Island 2: LeChuck's Revenge (1991), entrambi di Gilbert; The Curse of Monkey Island (1997) di Ackley & Ahern; Fuga da Monkey Island (2000) di Stemmle & Clark; Tales of Monkey Island (2009) di Darin & Stemmle. Azzardo interpretazioni e chiavi di lettura, senza illusioni di approdare a punti fermi e indiscutibili.

 

 

Qual è il mondo di Guybrush Threepwood?
Può sembrare una domanda peregrina, però è nodale: dal momento che le storie che abbiamo vissuto sono prodotto della narrazione di Guybrush, il suo mondo reale qual è? C'era chi temeva giustamente questa risposta, perché avrebbe potuto raffreddare troppo il calore piratesco della saga. Stando alla cornice e al finale di Return, il mondo reale del nostro eroe, per quanto non privo di anacronismi, non appare cronologicamente molto distante dall'epoca dei pirati, anzi pare che vi coincida, a giudicare anche dal vestiario. Da come Guybrush Jr. si entusiasma al citare nomi importanti, sembra quasi che i corsari siano venerati come i calciatori in Italia. Sembra li veneri anche il nostro Threepwood, che nel finale nella finta Mêlée di Stan si rassegna a tornare al suo lavoro di "rappresentante di biancheria" ("flooring inspector" nella versione originale). Forse è proprio la sua vera attuale professione, anche se ha sicuramente sognato e attivamente almeno tentato un'altra carriera per tutta la vita. Il suo mondo "vero" tuttavia non è vero come il nostro: nell'intro c'è dopotutto un pozzo dei desideri funzionante!

Cos'era successo davvero al termine di LeChuck's Revenge?
Rassegnamoci: nessuno di noi lo saprà mai. Il finale di Monkey 2 che vedemmo era stato già abbondantemente "contaminato" dal gioco di Guybrush Jr. e Chuckie, una contaminazione anarchica che il papà rimprovera al figlio, per poi caderci lui stesso alla fine del suo racconto di Return (e "Boybrush" gli fa notare la contraddizione). È facile pensare che la storia di Revenge terminasse con la gamba staccata di LeChuck ma recuperata dal cane per un possibile sequel canonico, in uno scontro ambientato chissà dove. Toccanti le diverse ragioni del disgregarsi delle storie per padre e figlio: per Boybrush, per un bambino, il mancato rispetto delle regole narrative è puro istinto, la fusione di fantasia e vita reale è prassi. Per un adulto, la fantasia è una conquista, difficile da mantenere a lungo: quando in Return Guybrush rispunta nel finto vicolo di Mêlée, sa benissimo cosa sta succedendo e commenta dispiaciuto: "Non ancora!", "Not yet!". Vorrebbe rimanere nella fantasia ancora un po', ma il filtro gli sta stretto, forse per le ragioni di cui discuteremo tra poco. Return riflette proprio sulla fantasia: come nasce, come si coltiva, a cosa ci serve, come rischia di finire.

 

 

Guybrush ed Elaine, i raccontastorie
Guybrush sta deformando con la fantasia storie realmente accadute, oppure le sta inventando da zero di sana pianta? A giudicare da Return, il ruolo di narratore è uno al quale Guybrush tiene molto, e come tale è molto più rispettato che come aspirante pirata, almeno da suo figlio. Si confronta direttamente con la scrittura e la narrazione all'interno del racconto stesso: aiuta Gullet a terminare la sua poesia, diventa membro dei Compari componendo storie, e addirittura ragionando sul modo di renderle più coinvolgenti mentendo! Allo stesso tempo però, se nel gioco lasciate che il timer dell'apnea arrivi a zero per tre volte, Guybrush muore e torniamo alla cornice narrativa, davanti a una panchina vuota. Una didascalia ci dice che, in seguito alla sua morte, il segreto non è mai stato scoperto e che un figlio non è mai nato. Un'avventura c'è quindi stata davvero, anche se stiamo assistendo a una sua versione assurdamente romanzata.

 

 

Come si è posta Elaine di fronte alla doppia vocazione del marito, di avventuriero/raccontastorie? Appare complice, ma con un airbag di razionalità che stempera gli eccessi della sua metà. Sembra che l'avventura (o per lo meno i racconti di avventura) piacciano anche a lei, perché al loro incontro su Mêlée, all'inizio di Return, Guybrush dice: "Speravo che ci fossi nella mia storia!" e lei risponde: "Io speravo che tu fossi nella mia!" Nel finale, quando Guybrush accetta le cose con "Sono pronto ad andarmene", lei risponde "Anch'io" (con un tono dolce, ironico e liberatorio che Alexandra Boyd al doppiaggio regola in modo preciso, fateci caso): a un certo punto della loro vita, devono aver deciso di comune accordo di rimettere i piedi per terra ed è nato Boybrush. D'altronde, in Tales, Elaine aveva pericolosamente perso la sua funzione d'equilibrio, e accadde il peggio. Notate poi che nell'ultima scena di Return anche l'Elaine "reale" esibisce l'esca che segnala l'appartenenza ai Compari, il cui credo prevede l'esagerazione dei resoconti... E se Elaine avesse una sua versione parallela, altrettanto infiorettata, di tutte le avventure monkeyislandiane?

 

 

Ho pochi dubbi sul fatto che Guybrush ed Elaine abbiano vissuto vere avventure (e ce n'è un'altra in ballo, a "Mire Island"), ma in modo diverso da quanto Threepwood ci ha raccontato, e che i resoconti abbiano risentito della suggestione di un parco a tema, per rendere più epico e divertente quello che magari epico non è mai stato abbastanza. Guybrush ed Elaine sono una delle coppie più realistiche (!) dei videogiochi. Hanno vissuto tutte le fasi di avvicinamento e allontanamento, al modificarsi della personalità di Guybrush negli anni: dall'adolescente istintivo e passionale che era in Secret, passando per il giovane egoista e arrogante di Revenge, per il marito (o aspirante tale) di Curse e Fuga, per uomo maturo al quale si aprirebbero possibili nuove vite (in Tales), fino ad arrivare... alla mezza età. C'è qualcosa di sorprendente nei dialoghi tra i due (o che riguardano lei) durante Return, una cifra inedita nella serie: erano sempre stati caricaturali e stereotipati, al massimo con un dramma sopra le righe in Tales, però qui c'è una matura dolcezza che spiazza, uno strano contrappunto.

 

 

Come preludio alla morale della storia, Guybrush non dà più per scontata Elaine. C'è amore candido in alcune bellissime frasi sue o di chi gli suggerisce di darle la giusta importanza ("Siamo più lontani di quanto vorrei", "Elaine è sempre vicina, al di là della distanza", "Non vedo l'ora di incontrare Elaine", "Cosa desidererei dal lime? Fascino irresistibile! - Quello l'hai già."). Ogni apparizione e ogni citazione di Elaine in Return è una boccata da un inalatore, per un protagonista in corsa perenne, che deve scendere a patti con quello che voleva essere e con quello che è. Un trauma solo se lo affronti da solo. Ma Guy non lo è.

Guybrush anima nera nella caverna
Mi riesce duro interpretare Return come un gioco per bambini, quando il Guybrush che guidiamo è il più sinistro della saga! C'è un'incredibile affinità tra Fuga e Return (considerando la fama di cui gode Monkey 4), perché anche lì Guybrush viveva un incubo che metteva a repentaglio la sua identità, circondato da un mondo che cambiava. La differenza era che quella crisi e quel cambiamento erano provvisori e reversibili, un problema identificabile nel complotto di Ozzie Mandrill, con pirati che subivano l'inganno, qui la situazione è ben diversa. Il mondo cambia semplicemente perché il tempo passa: i pirati si sono adattati alla nuova gestione, Mêlée nemmeno ha più paura di LeChuck, e se cadi da un dirupo non ci sono più gli alberi della gomma a salvarti dal farti male sul serio. La scena della caduta, quando Guybrush è vilipeso da LeChuck e amorevolmente consolato da Elaine, è una delle più commoventi: è il momento in cui lui potrebbe già "uscire" dal gioco, ma saggiamente Gilbert e Grossman preferiscono che questa vera vittoria venga ottenuta attivamente più avanti, non per cause di forza maggiore, ma solo quando noi e lui capiamo in cosa consiste.

 

 

All'orizzonte di Threepwood c'è l'incubo definitivo di una persona ambiziosa: non aver lasciato il segno. In Fuga il suo mito era deformato, ma in Return nemmeno esiste, tanto che il museo non attribuisce a Guybrush nemmeno una delle sue imprese! Il nostro eroe aveva lottato contro la stessa errata attribuzione all'inizio di Revenge, però c'era tempo per recuperare. Quella semplice gag è cresciuta fino a trasformarsi in senso. In un mondo che va avanti, dove tra i nuovi capi-pirati ci sono persino miti di suo figlio (!), bisogna esser pronti a ripensarsi da zero, in una sorta di inquietante reboot. "So dove devo andare!", dice Guy alla Vedetta, che risponde sornione: "Lo vedremo".

 

 

Come ha sempre fatto, Guybrush demolisce tutto al suo passaggio, e sarebbe anche normale perché è un pirata (come lui stesso fa notare a Elaine), ma cosa rende quindi lui un "buono", in contrasto col "cattivo" LeChuck? Nulla. Il depliant di LeChuck si autocompila in modo geniale durante Return, mentre via via Guybrush diventa sempre più allucinato, ossessivo e pericoloso: molto prima che gridi infuriato e invasato nelle prove finali nel quinto atto, la magistrale scena dell'abbattimento dell'albero di mocio cambia radicalmente la percezione di quello che stiamo vedendo, con humor nerissimo. Percorso sorprendentemente coerente col senso di The Cave, ma non è stata facile nemmeno la vita del povero DeathSpank, che doveva portare il doppio fardello del bene e del male.

 

 

Altro che nemesi: LeChuck è un'eco di Guybrush, è quello che lui è destinato a diventare se rimarrà nella "Cave" legata a quest'ossessione, sottovalutando il delirio in cui è precipitata Widey Bones (che sta a Gilbert come la Signora Ceppo sta a David Lynch). Come mai LeChuck riparte da Mêlée come Guybrush? Prigioniero di una chimera, deve resettarsi anche lui, il loro percorso è parallelo. "Mi ruba sempre le idee migliori", si lamenta Guybrush...

 

 

Guybrush è però avvantaggiato rispetto agli otto squallidi protagonisti di The Cave: come nell'altro sottovalutato lavoro di Gilbert, noi possiamo decidere se salvarlo ridandogli la libertà da un gioco al massacro, ma lui in più ha Elaine. Il confine tra vocazione e ossessione è labile, un sostegno per distinguerli viene solo dagli affetti: solo chi ci vuole bene può avere la pazienza di colmare la distanza dai nostri chiodi fissi individuali, incomprensibili agli estranei (perché ognuno di noi ha il suo chiodo fisso e il suo percorso: notate che l'enigma finale del portale per LeChuck è diverso da quello di Guybrush). La posta in gioco è chiara, le pedine sono disposte, Gilbert e Grossman ci concedono alla fine di far finta di non capire, se ci va. Seguire Elaine significa sconfiggere definitivamente LeChuck, declassarlo ad animatronica nel parco di Stan. Non a caso LeChuck per la Voodoo Lady è uno che vuole usare il Segreto nel modo sbagliato: ci sarebbe un modo giusto, che è quello di ammetterne la vacuità. T-Shirt cotone 100%. E il cerchio si chiude com'era iniziato in Secret.

Stan la sa più lunga della Voodoo Lady
Una delle più intriganti sorprese di Return è il ruolo dato al nostro pataccaro preferito, Stan. È l'unico avanzo dell'unica vaga idea che Ron aveva per un suo nuovo Monkey Island, cioè "Guybrush finisce all'inferno e lì c'è Stan". L'avevo presa come una battuta, ma quando scopriamo che il proprietario del parco a tema è effettivamente lui, mi è parso chiaro che sia sempre stato parte integrante di quelle poche intenzioni a lungo termine che Gilbert aveva. Non sottovaluterei l'evoluzione autoironica di questa prima idea embrionale, visto che il "Segreto Originale inaugurato nel 1989 da R. Gilbert" (come recita una targa) è gestito dalla falsità ostentata e dalla cinica presa in giro di uno come Stan.

 

 

"Ho sentito dire che il segreto era una frode per vendere videogame", viene detto a un certo punto. Dopo trent'anni in effetti, se Gilbert e Grossman si fossero limitati alla conferma della rivelazione del parco a tema, senza arricchirla con un discorso sulla narrativa, col confronto tra generazioni e con la dinamica affettiva, la sensazione di trovarsi con un segreto usato made in Stan sarebbe stata troppo forte. La "grande rivelazione" giustamente è diventata solo un pre-finale, un mezzo per un altro discorso, in un contesto in cui persino lo sguardo su Stan diventa più sfumato: a memoria mi sembra la prima volta che Stan interagisce così a lungo con un altro personaggio come Elaine, per giunta aiutandola concretamente, a dispetto della sua spregiudicatezza. In Fuga il marketing era il male assoluto, qui si ammette a denti stretti che può essere un male necessario. Le considerazioni obtorto collo che fai a una certà età.

 

 

In Tales avevamo scoperto che la Voodoo Lady aveva sempre manovrato per assicurare che lo scontro tra LeChuck e Guybrush continuasse all'infinito, qui la ritroviamo guardacaso ancora custode di vari oggetti che permettono a Guybrush di gestire la sua fantasia e mandarla avanti: il libro degli indizi, magie varie voodoo per alcuni enigmi, nonché una pretestuosa cassaforte col "segreto". Si rifiuta di dire a chi appartenga, in quanto legata da "clausole di riservatezza", il Non-Disclosure Agreement contrattuale che dà proprio l'idea di una sua dipendenza diretta da un'azienda... Stan? Metaforicamente, è significativo che la sua sia tra le attività in via di sbaraccamento: ha mantenuto sul campo l'illusione finora... e l'illusione si sta per spezzare. Dopo l'evocazione della prima mappa, un simbolico terremoto sta per spazzare via non solo Mêlée, ma l'intero tessuto della realtà di Monkey Island. Guybrush non si vuole fermare: noi però possiamo salvarlo.

I possibili finali
Non è solo questione di achievement. Scegliere come terminare Return significa costruire il nostro Monkey Island, decidere quale morale dare alla saga, e anche chiarire a noi stessi come vediamo l'esistenza (quanto peso diamo all'autoironia?). Se siamo creativi, possiamo anche decidere quale valore diamo all'atto della fantasia nella nostra vita. Curioso che qualcuno abbia visto in Gilbert e Grossman della codardìa nel non prendere posizione: per me sarebbe stato arrogante il contrario, data la posta in gioco. È la lezione contemporanea recepita dalle avventure narrative: possiamo leggerci dentro con l'interazione, un plus che i media lineari non possono offrire, perché non approfittarne? L'esito del finale dipende dalla combinazione delle azioni che si compiono nella finta Mêlée, con la frase da pronunciare a Guybrush Jr., per fargli digerire il finale deludente. Una volta ricevuto il mazzo di chiavi da Stan, potete (suggerisco una lettura per ogni percorso):

 

 

 

 

Per quanto concerne le frasi che si possono dire a Boybrush, ecco le opzioni, con relative conseguenze (e mie letture).

  1. "Il forziere era pieno di gemme, rubini e oro!": questa è stata la mia scelta, perché non mi piace l'idea di spingere troppo presto un bambino a razionalizzare. Se la selezionate, nei post-credits Boybrush se la spassa immerso nel tesoro. Potrebbe anche immaginarselo, ma bene così. Nell'unico caso in cui vi siate portati via la chiave dello scrigno senza usarla, la scena cambierà e mostrerà la chiave gettata da Guybrush nella lava. Ron e Dave non mi hanno dato la possibilità di unire capra e cavoli: io mi ero tenuto la chiave, ma devo giocoforza completare il distacco, se voglio davvero dare a Boybrush questa fiducia con sincerità e abbandono. Severo ma giusto.
  2. "Il segreto, in realtà, erano gli amici incontrati lungo la strada.": una noiosa "frase da adulti", come giustamente commenta Boybrush. Nel post-credits la barca affollata getta sufficiente ironia su questa risposta.
  3. "Tua mamma aveva ragione, era meglio non sapere.": immaginare è meglio che sapere, un buon suggerimento per i fan che nel corso dei decenni volevano sapere cosa ci fosse esattamente dopo Revenge. Nei post-credits lo scrigno viene seppellito per sempre.
  4. "Non mi sono inventato nulla, è esattamente quello che è successo.": annulla le interpretazioni metaforiche, nei post-credits una mano che sembra quella della Voodoo Lady (vedi sopra) allunga tre biglietti per il parco a tema, a questo punto inequivocabilmente magico. Sembrano per due uomini e una donna, a giudicare dal colore. Guybrush, Elaine e Boybrush?
  5. "Non c'è una risposta univoca a cosa sia il segreto.": come la n.2, è decisamente autoironica. Secondo Guybrush, a seconda di chi racconti la storia, il segreto potrebbe essere pure "una roccia e una banana". Nel beffardo post-credits ci sono proprio questi... Un finale-pernacchia, per chi vuole abbandonarsi al delirio senza ragionare troppo.

 

 

Return to Monkey Island è quello che speravo sarebbe stato: un bilancio creativo ed esistenziale sotto forma di fiaba piratesca, fornito di tutti gli strumenti interpretativi per non renderlo predicatorio o troppo macabro. Ciò che lo circonda, ciò che ha significato per molti l'attesa della sua pubblicazione, ciò che ha significato la saga per i nostri percorsi, è parte integrante del modo in cui lo si vive. Questo non si legga come una maniera di giustificarne ogni eventuale delusione sul piano ludico. Ciò che l'ha circondato è lì, è finito nel suo codice, nel suo design, nei suoi testi. È dentro e fuori. L'esplicita lettera privata rivolta a noi da Ron e Dave, disponibile nell'album dei ritagli dopo aver completato il gioco, non è una giustificazione, è una conferma di quanto abbiamo appena vissuto. Sarebbe un peccato considerare secondario al godimento di Return il suo valore più grande: il clamoroso esempio di onestà intellettuale, anche se è costato il sacrificio di una più comoda strada retrò.