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Storie vissute e storie narrate

Corsi e ricorsi dell'avventura grafica

by Diduz

Avendo costruito più o meno consciamente l'intero Lucasdelirium sulla tradizione narrativa portata avanti dalla LucasArts prima e dai suoi ex-artisti dopo, mi sento in dovere di provare a fare luce sulle modalità della trasmissione di una storia e del coinvolgimento in essa in un adventure: il momento lo richiede, perché il 2013 si prospetta da questo punto di vista un anno epocale.

Imbarazzanti sensazioni

La molla che ha generato quest'articolo è scattata più o meno un anno fa, e stranamente non con un'avventura della tradizione lucasiana. Mi sono imbattuto nel remake gratuito, riveduto e corretto dagli AGDI Interactive, del King's Quest 3 di Roberta Williams. Il gioco ruota sulle peripezie di Connor, un giovane orfano tiranneggiato da un mago crudele; esplorando (quando il mago è via) la magione del cattivo e i suoi dintorni, costituiti da decine e decine di locazioni, bisogna studiare un piano per fuggire. La storia di King's Quest 3 è sostanzialmente questa, più un ultimo "capitolo" con una svolta dal sapore fiabesco classico. Per farla breve, io che per anni ho atteso l'avvento di sceneggiature di contenuto per il genere delle avventure grafiche e per i videogiochi in generale, mi sono esaltato come un folle. La semplice e prevedibile storiella di King's Quest 3 mi ha risucchiato e coinvolto molto più di altre in titoli dello stesso genere comprati quell'anno, come Gray Matter o The Whispered World. Ora, prima che qualcuno pensi che abbia sbattuto la testa contro un muro, non mi sognerei mai di sostenere che le trame di Jane Jensen o di Marco Hüllen siano peggiori di quella della Williams (con o senza le aggiunte degli AGDI), e il problema è proprio lì. Come mai passi avanti nelle ambizioni culturali del genere mi appagano meno di una favoletta che frulla alla rinfusa stereotipi delle fiabe, con un protagonista sciapo?

Stupito dalle mie reazioni di fronte a King's Quest 3 (no, mi spiace, con me "Non c'è nulla come i giochi di una volta" non basta proprio!), ho provato a sondare gli animi di qualche collega avventuriero. Tra i vari commenti, uno mi ha particolarmente colpito: "Non mi ha mai coinvolto molto, perché più che un'avventura sembra un gdr". All'improvviso è scattata un'altra molla, e il mio pensiero è andato a Stacking della Double Fine. Quest'ultimo non avrebbe proprio nulla a che fare con King's Quest 3 o con un gdr, ma nella mia recente esperienza personale mi è capitato di vederne contestata l'appartenenza al genere delle avventure grafiche, per me d'istinto del tutto ovvia. Il mio pensiero inseguiva una sintesi, ma stava diventando un blob difficile da mettere a fuoco. Finché come al solito il faro del lucasdelirante non è diventato ancora una volta, magari suo malgrado, Ron Gilbert.

Mi riferisco a The Cave: al di là del controllo diretto dei suoi protagonisti e della presenza di salti non punitivi (l'action terrorizza l'avventuriero medio), i fan del genere hanno storto il naso di fronte all'assenza di testi per i personaggi principali. Ancora più interessante: dubbi pesanti si sono abbattuti sulla scelta dei tre protagonisti da controllare all'inizio del gioco, in una rosa di sette. "Cosa c'entra tutto questo con l'avventura grafica?" La tentazione di ricordare ai dubbiosi che Maniac Mansion si basa sullo stesso approccio è forte, ma la verità è che la loro reazione istintiva non è meno significativa della mia di cui sopra, e insieme nascondono una delle più grandi distinzioni nel modo di concepire la narrazione in un contesto videoludico e nello specifico nell'avventura grafica.
Per me si tratta della differenza tra storia vissuta e storia narrata.

Storia vissuta

Le avventure grafiche sono un'evoluzione dell'avventura testuale, e al loro debutto si sono trascinate l'interazione tramite input testuale, cioè la composizione dei comandi tramite frasi da digitare con la tastiera. L'avvento del punta & clicca non ha tuttavia compromesso immediatamente un'altra filosofia alla base del design originale. Se consideriamo Maniac Mansion ci appaiono evidenti i lineamenti dei progenitori come King's Quest: enfasi sull'esplorazione di locazioni spesso contigue da padroneggiare e imparare ad abitare, protagonisti appena accennati quasi avatar virtuali del giocatore, scarsa caratterizzazione letteraria dei personaggi, interpretazione emotiva di ciò che accade lasciata molto all'utente, storia concentrata più sulla premessa e sul contesto che sullo svolgimento e sul plot. Un racconto impostato così presuppone il completamento percettivo dell'utente, facendo leva sulla natura peculiare del mezzo, l'interazione, che viene anteposta alle convenzioni narrative dei media lineari e passivi. È la storia vissuta, allestita da un autore che rinuncia a parte del suo compito di narratore, affidandolo all'immedesimazione dell'utente in un mondo di gioco simulato.

Storicamente questa vecchia impostazione è associata ad altri difetti che non le sono però strettamente legati: vicoli ciechi nella soluzione degli enigmi, puzzle arbitrari, frustrazioni e via discorrendo. Ritengo che a questa categoria si possano ascrivere giochi come il remake di King's Quest 3 e Stacking, con la differenza che il primo ha liberato interessanti dinamiche dalle zavorre dei difetti di cui sopra (senza comprometterle), e il secondo si è adattato al mercato attuale come ho spiegato. Entrambi sono stati presentati quindi ora e funzionano. Molto, a parer mio. I giocatori oggi non riconoscono quel registro come appartenente al genere che amano: col senno di poi King's Quest 3 appunto appare un gdr, Stacking per qualcuno è indiscutibilmente un puzzle game. In una mossa inaspettata Ron Gilbert ha anche lui deciso di recuperare l'antica impostazione in The Cave, definendolo spudoratamente un "adventure game". Ironico che questo amarcord venga proprio da lui.

Storia narrata

Ironico, perché Gilbert è stato tra i principali artefici della metamorfosi delle avventure da storie vissute a storie narrate, con il suo Monkey Island. Nella prima avventura di Guybrush l'esplorazione si alternava a colli di bottiglia che permettessero di incanalare la marea d'interazione nella scaletta di un plot reale, la deambulazione in aree non più utili alla storia veniva preclusa (il contrario di ciò che accade in Zak McKracken!), i dialoghi aumentavano e con essi la caratterizzazione dei personaggi, ma soprattutto... Guybrush non era un avatar. Aveva opinioni, sentimenti, si ribellava persino al giocatore. Era una maniera intelligente di guardare all'arte cinematografica, arte non interattiva e lineare, per proiettare l'utente in un universo di carisma. Onore al merito del comando "parla" e del perfezionamento dei dialoghi a scelta multipla. Connor pronuncia poche semplici frasi (il narratore onniscente, distante dal Connor-avatar, è non a caso quello che conta in King's Quest 3), Charlie in Stacking è muto durante la partita: la differenza si sente, e può essere un punto a favore della storia narrata. La vastità dell'area di gioco di Monkey all'epoca permise inoltre di non perdere del tutto la porzione di "storia vissuta". Il futuro avrebbe esasperato le intuizioni di Ron: l'esplorazione nel genere si sarebbe ridotta ulteriormente, sostituendo all'osservazione stupita di un vasto mondo di gioco una meccanica cliccata di hotspot, commentati dal filtro a volte logorroico di una personalità invadente. La libertà ampia di movimento e/o azione sarebbe stata barattata con trame più ricche e serrate, tenute sotto controllo in gabbie di azioni da compiere in sequenza. Ci siamo trovati più avanti immersi in quadri, che hanno preso il posto dei vecchi luoghi articolati in ambienti comunicanti: scene in luogo di mondi.

La tendenza insomma fu avviata da Ron e altri, che nei primi anni Novanta lanciarono di fatto un sasso contro i limiti della narrazione "vissuta" e più criptica (ma sarebbe meglio scrivere "da completare"), e sulla loro scia partì una lapidata storica. Adesso ciò di cui parla Gilbert con The Cave, il suo appellarsi all'esplorazione omaggiando il feeling addirittura di Colossal Cave non è rivoluzione, anzi: la mano che tirò quel sasso sembra ritirata. È nostalgia, che fa impallidire anche i nostalgici del "buon vecchio punta & clicca", perché qui andiamo ancora più indietro, tanto indietro che abbiamo bisogno di tirare in ballo altri generi per capire cosa stia succedendo: "È tipo Trine! È tipo The Lost Vikings! È un metroidvania incrociato con un'avventura!" In realtà è solo il tentativo di capire se la "storia vissuta" di Maniac Mansion abbia ancora una chance, una volta scremata dalla frustrazione d'antan.

La forbice

È importante evidenziare come storia vissuta e storia raccontata non rappresentino categorie a camere stagne, ma poli opposti di una gradazione: idealmente l'avventura grafica com'è oggi intesa, ispirandosi ai primi due Monkey Island, si colloca nel mezzo, anche se come ho già scritto gli autori attuali tendono spesso a esercitare un controllo ancora più intenso sul plot e sulla caratterizzazione dei protagonisti, con tutto ciò che comporta in termini di interazione guidata. Non mi riferisco al livello di difficoltà, bensì alla libertà di movimento e soprattutto d'interpretazione emotiva di ciò che si svolge davanti ai nostri occhi. The Cave e la prossima avventura grafica "punta & clicca" canonica finanziata con Kickstarter sono entrambi prodotti dalla Double Fine, che pur identificandoli entrambi come "adventure game" si è ben guardata dal chiedere ai fan delle avventure soldi per la strana caverna di Gilbert. Sono due interpretazioni diverse dello stesso genere. Se schierarsi fosse un obbligo, propenderei per gusti personali verso la "storia vissuta", ma scegliendo mi precluderei la ricchezza immensa della creatività ex-lucasiana di questi mesi.

Sì, perché grazie ai Telltale e al loro The Walking Dead è da qualche tempo rappresentato dagli autori che seguiamo anche il polo opposto, la "storia narrata" più estrema. The Walking Dead rinuncia infatti quasi del tutto a ogni tipo di sfida e mette al centro dell'esperienza sceneggiatura, dialoghi, personaggi, sentimenti, inquadrature, gesti, inscrivendo l'input del giocatore nella logica della coregia emotiva di un film.
La ricerca di tutti questi game-designer, veterani e giovani, produce una costante riflessione sui limiti, le potenzialità e la natura stessa del mezzo videogioco. Non potrei pensare a un anno migliore che sintetizzi la propulsione pionieristica della fu Lucasfilm Games, tutt'altro che assopita.