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La spietata odissea psichica
della Double Fine

by Diduz

Un anno e mezzo dopo l'acclamata uscita di Psychonauts 2 (2021), successo di vendite per la Double Fine di Tim Schafer, sono state pubblicate su YouTube le 32 (!!!) puntate della Double Fine Psychodyssey, il racconto di più di sei anni di lavoro dedicati alla creazione dell'atteso seguito. A curare il documentario ci sono ancora i 2 Player Productions capitanati da Paul Owens, dopo il successo della Double Fine Adventure (2015), cronaca del Kickstarter storico del 2012 e della lavorazione di Broken Age. Quelle che seguono sono delle considerazioni che mi hanno affollato la mente dopo la notevole esperienza di visione delle puntate e dell'intervista di MinnMax a Schafer proprio sul documentario. La Double Fine Psychodyssey è un lavoro strategicamente diverso dalla serie precedente: meno romantico, meno catartico, più severo, più sincero. A prescindere dalla questione spoiler, sottolineo che è assolutamente sconsigliata la sua visione prima di aver giocato, anzi forse sconsiglierei in quel caso persino la lettura stessa di questo pezzo, dove peraltro spoilero alcune delle stesse puntate. Capirete perché.
Articolo il mio ragionamento su alcune domande più che creative, forse esistenziali, sicuramente professionali, che valgono per molti di noi.

NOTA: Mi occupai di persona dei sottotitoli italiani della Double Fine Adventure, ma - indipendentemente dal fatto che oggi gestisco il mio tempo libero in modo diverso - penso che nessun fan sano di mente affronterebbe gratis la traduzione di questo sterminato materiale. C'è da dire che in questi anni la traduzione automatica in italiano dei sottotitoli inglesi su YT è migliorata molto, e credo consenta di seguire passabilmente. Se capite un po' d'inglese parlato, sarete poi in grado di spiegarvi alcune traduzioni assurde che ogni tanto salteranno fuori per forza di cose (sto parlando con te, algoritmo di traduzione: "camera" non significa "macchina fotografica"... e "Clam" è un nome proprio, non c'è bisogno di tradurlo con "vongola"!!!).

 

 

Che cos'è la leadership?
Psychonauts 2 nella sua lavorazione ha affrontato problemi particolari (e affascinanti, dal nostro punto di vista cinico di utenti e spettatori del documentario). Tim a fine 2015, durante la campagna di crowdfunding, promise una lavorazione più tranquilla e veloce di quella tribolatissima del primo Psychonauts (2000-2005), raccontata nel primo episodio della Double Fine Psychodyssey, "The Color of the Sky in Your World": quasi un documentario a sé stante, con filmati di repertorio antichi girati dallo stesso Schafer nei primi Duemila, fondamentali per capire il senso di molte cose. Poteva andare ancora così, dopo tutta l'esperienza accumulata negli anni, se paragoniamo lo studio alla sua originale ingenuità del 2000? Ehm. Lo stesso Tim nell'ultima puntata, la 32, ironizza su questa promessa disattesa: il secondo atto delle avventure dello psiconauta Raz ha richiesto cinque anni e mezzo, e tanto, tantissimo stress. Stessa situazione, dopotutto? Sì. Stesse cause? No.

Una volta partecipai a un incontro col regista M. Night Shyamalan. Un ragazzo diciassettenne dal pubblico gli disse che realizzava cortometraggi con gli amici e gli chiese come essere un regista, nel rapporto con gli altri. Shyamalan rispose che si può dirigere in due maniere: facendo piombare tutto dall'alto, "dittatorialmente", manovrando letteralmente ogni collaboratore e giudicandolo in base a un'idea predeterminata, oppure chiedendo il parere di tutti, facendosi garante di una sintesi e di una bussola creativa generale. Nessuno dei due metodi è giusto o sbagliato, ma è importante capire chi sei e vestire i panni corretti per la tua personalità.

La lavorazione di Broken Age aveva mostrato le difficoltà di Schafer nel fungere da capo-progetto di un gioco, quando doveva occuparsi della gestione dell'azienda intera e soprattutto (in compagnia del vice Greg Rice) del reperimento continuo dei fondi per mantenerla a galla. Sin dall'inizio, Tim ha deciso che sarebbe stato un membro del team solo un po' più importante degli altri, cioè lo sceneggiatore e il garante creativo, ma che Psychonauts 2 sarebbe stato seguito giorno dopo giorno da qualcun altro. Zak McClendon, inizialmente assunto solo come capo-designer, è stato promosso a capo-progetto tra il 2016 e l'inizio del 2019: lui stesso a quel punto ha garantito per l'assunzione come capo-designer di Ryan Mattson, col quale aveva condiviso l'esperienza alla 2K Marin su BioShock 2. Probabilmente nemmeno Schafer aveva valutato le micidiali conseguenze di questa mossa, sulla carta sensata. Un qualsiasi progetto creativo è troppo stretto per ospitare contemporaneamente i due approcci di cui parlava Shyamalan...

 

 

Pubblicata dopo l'uscita del gioco, la Double Fine Psychodyssey non ha avuto i filtri della precedente Double Fine Adventure: il nuovo documentario non ha la funzione di aggiornare i sostenitori sullo stato dei lavori già terminati, ma racconta a posteriori, di conseguenza non è stato epurato di nessun risvolto troppo pesante che nel caso precedente fu relegato agli extra postumi (come per esempio la reazione negativa di Ron Gilbert al pitch di Broken Age). Nei primi due terzi della Psychodyssey scorre davanti ai nostri occhi una rappresentazione via via più tesa del cosiddetto "scontro tra culture", dove tra l'altro è difficilissimo prendere le parti di qualcuno. Da un lato Zak e Ryan, rigidi, concentrati sulle dinamiche del gameplay come base dell'esperienza, preoccupati delle tempistiche di lavorazione, trancianti verso chi si allontana da quel percorso. Dall'altro la Double Fine: i suoi veterani, abituati a prendersi tutto il tempo per far scaturire l'interazione dalle necessità narrative (e non viceversa), ma anche i nuovi arrivati, ansiosi di abbracciare la mitica libertà creativa della Double Fine, di fatto negata da una produzione deludente, troppo simile a quelle vissute in altri studi. James Marion, level designer esordiente, sensibile ma anche resiliente con un grande senso dell'umorismo (grande nuovo acquisto), sintetizza giustamente: "Lavorare alla Double Fine rimane il lavoro dei miei sogni. Psychonauts 2 non è stato il progetto dei miei sogni".

Schafer ha impiegato troppo tempo a rendersi conto di quello che stava succedendo: il famigerato misterioso finanziatore che nella campagna doveva reggere la stragrande maggioranza dell'investimento si è tirato indietro da subito, costringendo inizialmente lui e Greg a viaggiare in lungo e in largo per firmare il contratto con un publisher, nello specifico alla fine la Starbreeze. La successiva crisi finanziaria di quest'ultima lo ha distratto ulteriormente nel 2018, fino alla risoluzione definitiva dei problemi economici, accettando l'acquisizione della Microsoft nel 2019, proprio in concomitanza con l'apice dello scontro creativo nel team, peggiorato da queste incertezze economiche (e quindi di ampiezza del gioco stesso). Come dice ancora Marion, i designer hanno lavorato per quasi due anni nell'ansia di dover consegnare il gioco sempre di lì a tre-quattro mesi. Ed è da questo punto di vista che non sono mai riuscito a considerare Zak un antipatico o il "villain della situazione": le ansie sue e di Ryan, tenendo presente che la Double Fine è un team relativamente piccolo per un titolo massiccio come Psychonauts 2, erano condivisibili. Rilassarsi non era un'opzione, anche solo per "interrogare" il gioco e chiedergli dove volesse andare. Ma in questa situazione drammatica, com'è possibile che Psychonauts 2 si sia salvato e sia venuto così bene?

 

 

Mentre si cercava di far appiedare Schafer sulle difficoltà, il team ha letteralmente attivato i suoi anticorpi identitari per rigettare il corpo estraneo di una forma mentis incompatibile. Catalizzatore del processo mi sembrano essere state le dimissioni della mitica programmatrice Anna Kipnis, una delle anime della Double Fine, pacatamente ma evidentemente in disaccordo con la gestione di Zak e Ryan. A quel punto Tim non ha potuto che prendere atto della crisi, licenziando McClendon (seguito qualche tempo dopo da Mattson sponte sua, per solidarietà). Era forse inevitabile che accadesse. È molto bella una delle rare interviste raccolte dai 2 Player Productions a Zak, che chiede proprio a loro se davvero risulti "così stronzo" a un occhio esterno, e recrimina di non poter mai essere ascoltato fino in fondo dal team per un problema di fondo: "Sarò sempre l'eterno patrigno di questo gioco". Già.

È tesissima la riunione in cui Tim annuncia che Zak non c'è più, gli trema la voce, forse perché sa bene che in quel momento il progetto è davvero a rischio e il team è disorientato. Prende tuttavia una decisione saggia: alcune persone sono state fondamentali nel contenere la pentola a pressione, come il veterano programmatore Kee Chi e la direttrice artistica Lisette Titre-Montgomery. Facendo leva su queste anime concilianti, prima di raccogliere il gioco da capo-progetto, Tim per quasi un anno lascia che la squadra si autogestisca, assecondando un'emergente divisione in sottoteam, uno per mente: emergono anche personalità potenti e creative, volano di questa ripartenza, come la concept artist Emily Johnstone e la sua collega nuova arrivata Gianna Ruggero (un uragano).

La Psychodyssey mi ha confermato quello che da anni credo: chi si lamenta di uno Schafer che dopo la Lucas non avrebbe "mai fatto altri capolavori", guarda il dito e non la luna. Il capolavoro moderno di Tim è la Double Fine stessa, un concentrato di valori così chiaro da trasmettersi a nuovi assunti e in grado persino di proteggere lui stesso dagli errori, in nome di una concezione pienamente artistica del videogioco. Un difficilissimo miracolo, che in troppi ancora sminuiscono. Non a caso l'unico difetto che segnalai nella scheda di Psychonauts 2 era per me un'identità leggermente diversa sul fronte del gameplay, più rigida rispetto al gioco precedente: guardando il documentario ho capito nitidamente a cosa sia stata dovuta. L'anima di Psychonauts è l'anima della Double Fine, l'abbiamo scampata bella, ma siamo sempre stati in buone mani. È sorprendente.

 

 

Perché te ne vai? Perché arrivi? Perché rimani?
Il miracolo della Double Fine è evidente nella sopravvivenza di quell'anima nel turnover che inevitabilmente colpisce ogni azienda di questo tipo nell'arco di cinque-sei anni. Dal 2016 al 2021 il team si è modificato a poco a poco, e le puntate della Psychodyssey dedicate ad alcuni degli addii sono tra le più toccanti e coinvolgenti. Ci sono state diverse defezioni nella lavorazione di Psychonauts 2, per ragioni diverse.

Brad Muir per esempio ha lasciato già durante la preproduzione dello spin-off Psychonauts in the Rhombus of Ruin (raccontato nei primi episodi), che avrebbe dovuto dirigere e che poi Tim ha affidato a Raymond Crook e Chad Dawson (interessante che in questo caso la leadership inaspettata non abbia causato problemi: forse perché Ray e Chad erano veterani della Double Fine, amati e conosciuti da tutti, già parte di quel mondo? Probabile). Brad era appena diventato papà e aveva bisogno di più stabilità (leggasi Valve, per la cronaca), e il saluto è stato amichevole e molto dolce. Fasi della vita che si chiudono, indipendentemente dal calore dal quale si è circondati. È successo anche al producer Matt Hansen, che ricorderete dalla Double Fine Adventure aveva ormai assolto a una promessa fatta a suo fratello scomparso: lavorare prima o poi con i loro miti d'infanzia della LucasArts.

A proposito di Ray Crook, il suo semi-addio (in realtà ha continuato a lavorare da remoto) è stato straziante anche per me che guardavo quella puntata: avevamo imparato ad amare la filosofia di Ray sin dalla Double Fine Adventure, così non stupisce la commozione profonda di Tim e di tutti nel saperlo anche solo fisicamente lontano da loro. Forse il momento più dolce di tutto il documentario è la consegna di un regalo speciale a Ray, un regalo che immagino molti collezionisti farebbero carte false per avere. Ragioni dietro la partenza? Cambiare aria, per se stesso e per i figli, a causa di una vita di città a San Francisco vissuta con fatica, tra caos e costi.

 

 

La partenza del "gigante buono" Greg Rice nasce da un'esigenza diversa: era il secondo di Schafer nella gestione strategica e finanziaria dell'azienda, ramo publishing Double Fine Presents compreso. Paradossalmente, dopo essere stato nodale nell'aver "salvato" la Double Fine con l'acquisizione da parte della Microsoft, ha reso se stesso superfluo. Schafer l'avrebbe mantenuto "inventandosi un ruolo a caso" (cito testualmente), ma Greg ha preferito andarsene con la gioia di aver garantito una sicurezza economica ai suoi colleghi e colleghe, anzi amici e amiche. È diventato il responsabile delle concorrenti produzioni indie Playstation (ironia colta da lui stesso).

Ho invece trovato la defezione di Anna Kipnis più ambigua, come ho spiegato: sicuramente c'era anche da parte sua una volontà di cambiare vita (e ha dato alla luce un figlio poco dopo le dimissioni), però nulla mi toglie dalla testa che si sia "sacrificata" per salvare Psychonauts 2, sapendo quale peso avrebbe avuto per Schafer la sua bandiera bianca, costringendolo a riflettere con più attenzione su quello che stava accadendo. La sua eleganza senza scenate, quando incassava la sfrontata rigidità di Zak e Ryan, è per me un modello, forse irraggiungibile. Il discorso di Kee ad Anna, il giorno dell'addio, è comunque quello che chiunque vorrebbe sentirsi fare da un collega. Mamma mia, che meraviglia.

Ci sono però stati anche addii chiaramente dovuti a stress e delusione. Schafer non ha mai perdonato il capo-producer Andy Alamano per aver abbandonato la nave a sei mesi dalla pubblicazione. Io lo perdonerei però, perché dalle puntate è chiaro come Andy abbia subìto con crescente malcelato stress tutti gli smottamenti del progetto per anni, diventandone una delle àncore durante quel terremoto ai vertici. Ricordo bene le mie paturnie esistenziali durante la quarantena da Covid, e quando cose del genere esplodono su uno stress preesistente... non lo giudico per la sua voglia di cambiare aria.
C'è stata asprezza e non detto nell'uscita delle programmatrici Amy Price e Anna Becker, ambedue evidentemente deluse da una Double Fine diversa da quella che si aspettavano, con un vero dramma che ha visto protagonista la prima, e che merita di essere discusso a parte nel prossimo paragrafo. Le loro preoccupazioni sul progetto e sul decisionismo di Zak e Ryan erano dopotutto chiare.

 

 

La strana anima Double Fine tuttavia ha saputo intercettare chi è riuscito a capirla meglio: ho già citato James Marion, vero sornione eroe della serie, il cui augurio che l'atmosfera torni serena con progetti più piccoli non posso che appoggiare. Tra gli ultimi arrivati, non smette di crederci, è già Double Fine. Incredibile poi il risucchio di Asif Siddiky direttamente nel team: si tratta del direttore della fotografia dei 2 Player Productions, la cui creatività e voglia di contribuire ai giochi non è passata inosservata a Tim negli anni. Sorprendentemente calibrato nel comunicare con gli altri, Asif prima ha centrato un prototipo geniale per l'Amnesia Fortnight 2017 ("The Gods Must Be Hungry"), poi l'ha visto trasformarsi in un livello di Psychonauts 2: il bis col prototipo "Armored Slug" per l'Amnesia Fortnight 2019 fa di lui un autore da tenere d'occhio, e allo stesso tempo un simbolo dell'unicità della Double Fine nel dare sul serio voce creativa a chi ce l'ha, senza pregiudizi e filtri.

E per qualcuno che non regge l'ansia delle incertezze creative, c'è chi ci sguazza senza preoccuparsene troppo: ho già citato Emily e Gianna, ma è rimasto inamovibile anche il mitico character artist Dave "Rusty" Russell, che ha traghettato Raz e i suoi amici dal primo al secondo Psychonauts nell'arco di quasi un ventennio, celebrando i suoi 50 anni a ridosso del compleanno dello stesso Tim. Sempre appassionata e materna nei riguardi di tutti, la producer Malena Annable è un'altra colonna a cui appoggiarsi. Ancore di eterna saggezza, punti di riferimento di razionalità e garbo, sono stati come al solito e come sempre il sound designer Camden Stoddard e l'irrinunciabile, già citato capo-programmatore Kee Chi. Questo senza contare il sostegno di habitué ormai fedelissimi, come Jack Black ("Baaaaad!"), Elijah Wood, o degli stessi fan negli eventi pubblici: complici sguardi esterni che rendono meno scontata la fatica dietro allo stupore della fantasia.

 

 

Qual è il confine tra fede e autodistruzione?
Ho trovato la visione della puntata 27, "Villains of Crunch Mode", al limite del sostenibile: i 2 Player Productions non hanno fatto alcuno sconto nel mettere in scena uno dei momenti più disperati e complessi della produzione, nella seconda metà del 2019. Quando la programmatrice Amy Price nota che vengono portati pasti serali a chi rimane in studio (scena peraltro già vista nella Double Fine Adventure), posta su Slack un messaggio rivolto a tutti: tenendo presente la grande mole di lavoro da fare e la (presunta) data di chiusura di Psychonauts 2, le appare una "brutta china", anticamera alla giustificazione del crunch mode. Il "crunch mode" sta a indicare la richiesta di un sacrificio della propria sfera personale a favore del prodotto, con orari di lavoro non rispettati e stress psicofisico dato per scontato, per forzare una lavorazione in tempi più brevi di quelli compatibili con uno stile di vita decente. Invece di risponderle su Slack, Tim indice una riunione aperta a tutta l'azienda, dove si mostra chiaramente offeso (con parole colorite) dal messaggio di Amy: vittima e carnefice lui stesso del crunch mode dai tempi della LucasArts fino al primo Psychonauts, si sente punto nel vivo. Di fronte a tutti, Amy non regge e scoppia a piangere.

 

 

Sono minuti insostenibili, perché la questione del crunch è molto più complessa di come appare a prima vista, e sono rappresentate grossomodo tre posizioni: chi è contrario a prescindere, chi è contrario a considerarlo pratica ma non impedisce ai volontari di attuarlo (Tim) e chi invece addirittura lo ritiene inevitabile se non necessario in alcune circostanze, come Geoff Soulis, colonna della Double Fine, dal primo all'ultimo Psychonauts. Se non avesse fatto le ore piccole, spiega, il demo per l'E3 avrebbe avuto un aspetto peggiore, e si sarebbe sentito responsabile di comprometterlo.

Realtà come la prima Telltale sono state distrutte dal crunch mode preteso, quindi direi che la questione è di massima importanza, ma non è così facile dire di andare a dormire a chi si sacrifica perché crede nel massimo risultato. Il problema vero è che, se non lo imponi ma lo consenti, si rischia di creare surretiziamente un'ingiusta divisione tra eroi e presunti menefreghisti, ergo l'ansia di Amy era legittima (e altri colleghi le davano ragione). Per Return to Monkey Island sia la producer Jennifer Sandercock sia Ron Gilbert si sono per esempio imposti addirittura di disincentivarlo a prescindere. Schafer nell'intervista di cui sopra si è poi pentito di aver reagito in modo così viscerale, quando avrebbe dovuto spiegare che il suo metodo per cercare di evitare il crunch mode non è ridurre il lavoro o la qualità, ma cercare mezzi finanziari per allungare i tempi, come peraltro aveva fatto durante tutto il progetto.

A me la cosa continua a sembrare più grigia, perché è chiaro come si approfitti di ogni nuova boccata d'ossigeno per rialzare la posta e aggiungere cose che aumentano il carico di lavoro: d'altronde, com'è successo per i boss di Psychonauts 2, non previsti prima dell'arrivo della Microsoft causa risorse al termine, chi resisterebbe all'occasione di riprendere in mano qualcosa che avvertiva come fondamentale? Credo inoltre che evitare i sacrifici sia più difficile davanti a lavori creativi che richiedono un certo grado di sperimentazione e ricerca per essere "instradati" correttamente. In particolar modo quando l'organico non è abbastanza grande da affrontare grosse imprese a cuor leggero.

 

 

Amy era una delle nuove leve più deluse dalla cessione della Double Fine alla Microsoft, vissuta da alcuni come un tradimento dello spirito indipendente (e da lì forse è arrivata la sua preoccupazione per i ritmi di lavoro), ma qui è stata proprio una major a sventare il crunch mode, colmo dei paradossi per chi spiega la realtà tramite stereotipi: se Matt Booty degli Xbox Game Studios non avesse proposto lui stesso un paio di slittamenti, viene da pensare (forse sbagliando?) che Psychonauts 2 sarebbe arrivato sui nostri sistemi a quel livello di qualità solo con sacrifici notevoli, pericolosamente attuabili nel telelavoro per quarantena Covid. Senza contare che, se non ci fosse stata l'acquisizione, la crisi della pandemia avrebbe probabilmente segnato la fine non solo del gioco, ma dell'azienda stessa!

Ma allora dov'è il confine tra una pratica tossica e il sacrificio nobile? La sensazione è che, più delle regole, salvi dall'abisso solo un'empatìa con le singole persone, un dialogo aperto per capirsi ed evitare quella pericolosa, non detta divisione tra "chi ci crede di più" e "chi ci crede di meno", nel mutuo rispetto: in fondo, come commenta l'environment artist Moira Marr, una riunione del genere altrove, con un confronto così schietto, sarebbe stata semplicemente impensabile. Magistrale Kee, che tra Amy in lacrime, Tim uscito dalla stanza e Geoff che inneggia al martirio, dice al vecchio compagno di mille avventure: "Ti capisco, però alcune persone vanno salvate da se stesse".

Ore che mi sono rimaste dentro
Filmicamente, la Double Fine Adventure era più omogenea, più accattivante, e la sua (col senno di poi) pur parziale rivoluzionaria trasparenza ha un primato storico. Oltretutto, bilanciava meglio le informazioni sulla creazione del gioco in sé con l'attenzione all'esperienza umana. La Double Fine Psychodyssey si sbilancia decisamente sul tragitto emotivo delle persone, lasciando ad altri contenuti (da me pure riassunti nel corso dei mesi) l'approfondimento effettivo sulla creazione di Psychonauts 2. Corre così il rischio di deludere chi si aspetti quel tipo di indagine tecnica e conseguentemente risente in modo mimetico dei momenti d'impasse del team, risultando un po' lenta negli episodi centrali. Loro malgrado, i 2 Player Productions si sono trovati inoltre ad affrontare le conseguenze del lockdown su quello che doveva essere il crescendo del loro documentario: le puntate finali sembrano un anticlimax anche quando ci sono emozioni forti in gioco, perché c'è un limite al pathos che puoi ricavare dalle conferenze su Zoom, purtroppo (ma attenti alla festa di Halloween al drive-in, col distanziamento per il Covid, da applausi).

Tenendo presente questi limiti dettati pure da scelte precise, la Psychodyssey è però ancora più significativa nei messaggi e nelle riflessioni che attiva, perché l'immedesimazione in quello che accade, specialmente se si è tentata nella propria vita una strada artistica o creativa (ma non necessariamente), è davvero potente. Finanche disturbante in alcuni momenti, e persino potenzialmente dannosa per l'imprinting con Psychonauts 2, se guardata prima di giocare. Mi sono spesso chiesto come sarebbe stato un documentario dedicato alla creazione tribolata di The Dig, dai racconti dei superstiti molto simile a questa, e come questa foriera di un grande gioco a dispetto di tutto, grazie alla professionalità, alla passione e alla mistica resilienza di alcuni progetti, che sembrano avere vita propria e pretendere di esistere. È bene pure sottolineare che, a differenza di quanto accadde con The Dig, in Psychonauts 2 sono state senza rancori accreditate tutte le persone che hanno abbandonato il progetto, nel ruolo che hanno effettivamente ricoperto per la maggior parte del tempo (non con comici contentini stile "additional story by Brian Moriarty", nei credits dell'avventura LucasArts).

Vedete, non conosco le risposte alle domande sulle quali ho costruito questo pezzo, ma me le hanno poste o me le sono poste più volte nella mia vita, pur non essendomi occupato di sviluppo videoludico: so quale importanza rivestano per quello sfuggente equilibrio tra realizzazione personale e serenità, e so che queste occasioni, queste finestre sull'umanità dietro ai miti, sono una delle ragioni per cui continuo a scrivere Lucasdelirium.
Mi commuovo realizzando che, in questa sofferta ma protettiva roccaforte creativa, al team sono arrivati echi di eventi inquietanti come il Bataclan, l'attacco al Campidoglio, le sparate di Trump, la pandemia e persino un apocalittico fumo rosso in California. Davanti ai titoli di coda, capisco perché è stato così bello, tribolazioni o meno, farsi proteggere da Raz.