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The Legend of Monkey Island
La saga secondo Sea of Thieves

(by Diduz)

La pubblicazione di tre espansioni gratuite per l'MMO Sea of Thieves della Rare / Microsoft dedicate alla saga di Monkey Island, The Legend of Monkey Island, rappresentano un passo interessante e sperimentale per la serie. Dopo l'uscita del primo capitolo "Il viaggio verso Mêlée Island" il 20 luglio 2023, "Alla ricerca di Guybrush" il 31 agosto e "Il covo di LeChuck" il 28 settembre, elaboro qualche considerazione su questa curiosa operazione, ordita da Craig Derrick della Lucasfilm Games e John Drake, responsabile delle licenze Disney per i videogiochi.
NOTA: Per chi si sentisse spaesato, in basso trovate una guida per sopravvivere a Sea of Thieves solo quanto basta per giocare The Legend of Monkey Island, come se fosse una pura avventura grafica, concettualmente in single player.

 

 

Tutte le conseguenze del 3D
Con Legend of Monkey Island la saga diventa 3D. Sul serio. Nella storia di Monkey Island le tre dimensioni erano state proposte la prima volta per convenzione commerciale, molto acerbe e mezze precalcolate, in Fuga da Monkey Island (2000). Le cose erano migliorate in Tales of Monkey Island (2009) dei Telltale, dove invece il 3D realtime veniva utilizzato per dare una grammatica visiva più cinematografica alla rappresentazione del mondo di gioco. In entrambi i casi, l'esperienza rimaneva tuttavia quella delle origini in 2D, sempre in terza persona. Qui il discorso cambia, profondamente nell'estetica ma non meno nella fruizione e nello spirito.
Per la prima volta la regia visiva, salvo rari momenti (come l'apparizione di Mêlée dalla nebbia, mentre ci avviciniamo all'isola), è delegata al giocatore, che può muovere liberamente lo sguardo, in prima persona. Lo stile grafico della Rare per Sea of Thieves rimane certo caricaturale e stilizzato, con fonti di luce e dominanti cromatiche espressionistiche, però il fatto stesso di rileggere le immagini originali bidimensionali in ambienti reali innesta un rapporto più simulativo e realistico con la fantasia monkeyislandiana. Era un'esigenza che già tempo fa qualche fan ebbe, tentando di trasferire in motori di celebri FPS alcune delle location iconiche della serie, naturalmente fermandosi per fatica e mancanza di mezzi a uno o due ambienti. La Rare patrocinata da Microsoft e Lucasfilm non ha di questi problemi, e anzi si compiace del risultato delle sue contrastate e suggestive Mêlée e Monkey, dandoci la possibilità in ogni ambiente di sederci in punti precisi, strategicamente studiati per poterli osservare più o meno dalla stessa angolazione di Monkey 1. È un altro approccio che in Legend appare fresco, nonostante la riproposta almeno di Mêlée sia per i fan ormai un tormentone, tra Fuga, la Special Edition (2009) e Return to Monkey Island (2022).

Oltretutto questo approccio simulativo, in cui dobbiamo fisicamente attraversare luoghi ben noti, avvicinandoci agli oggetti che vogliamo prendere, invece di delegare un personaggio tramite un cursore, si trascina altri elementi dell'estetica. Il sound design per esempio mira più a ricreare la fisicità dei luoghi, che a richiamarne un'idea astratta, tanto che le musiche non sono sempre di taglio cinematografico, di commento "fuori campo" alle situazioni, ma anche diegetiche: il tema dello Scumm Bar sembra per esempio suonato al suo interno, e il pirata fantasma nel vicolo suona il violino solo quando ci allontaniamo. Suggestivo.
Una prima persona in 3D implica però anche qualcosa di molto più pesante, specialmente perché qui interpretiamo di fatto noi stessi, o meglio il nostro avatar piratesco. Nonostante la sua voce sia sempre quella di Dominic Armato (diretto da Khris Brown), è stranissimo interagire con Guybrush in quanto NPC, personaggio non giocante del quale per la prima volta non condividiamo al 100% le sorti. Questa è l'occasione, leggendo dentro di noi, per cogliere perfettamente per contrasto l'anima più profonda del marchio, proprio riflettendo sul distacco di Legend. Non abbiamo mai semplicemente controllato Guybrush, ma nel corso dei decenni abbiamo vissuto le sue avventure al suo fianco, in un rapporto ora di identificazione, ora di paragone o conflitto: si pensi ai momenti in cui lui si rifiutava di pronunciare le frasi che selezionavamo, o si pensi al caso estremo della riflessione esistenziale di Return, nella quale chi gioca è chiamato a rispecchiarsi, dopo trent'anni.

È sempre stato un equilibrio sottile, prezioso e caratterizzante. Separando Guybrush da noi, la Rare non perde di certo uno degli aspetti di Monkey Island, cioè l'idea originale di Ron Gilbert "di andarsene a spasso per i Pirati dei Caraibi a Disneyland", anzi la potenzia egregiamente grazie al 3D. Allo stesso tempo perde tuttavia... quella magica quarta dimensione, cioè il tempo e la vita che da sempre condividiamo con questi personaggi, in una fusione tra spettatori e protagonisti che è l'essenza stessa di un genere videoludico come il punta & clicca lucasiano in terza persona. Legend mi trasmette invece la sensazione di... farmi passeggiare da quelle parti solo per un saluto. Affettuoso, certo. Ma sto solo passando di qua. Fate pure come se non ci fossi. So che in teoria un'immersione in 3D in prima persona dovrebbe trasmettermi il contrario, ma tant'è.

 

 

Fanservice e nostalgia
Sparendo il concetto di un protagonista narrativamente definito, viene ridotto al lumicino anche quello di autore: i designer e gli sceneggiatori Rare, non senza ironia involontaria per chi conosce Monkey Island, di fatto danno vita qui all'attrazione di un parco a tema, con una storia che si presenta come un puro pretesto per "farmi giocare ai pirati dentro Monkey Island". Non per niente non sono previsti né ambienti né personaggi che non siano in The Secret of Monkey Island. La sensazione è forse amplificata (e magari valorizzata) nel caso si viva Legend con una piccola ciurma di amici, scambiandosi emozioni ed entusiasmo. Fermo restando che l'effetto Monkey Island, come ho spiegato sopra, mi risulta così incompleto, non è un taglio incoerente né col gioco ospitante (Sea of Thieves è un simulatore, dopotutto), né con l'atmosfera della saga: si presuppone che ci muoviamo in una fantasia / ricordo di Guybrush divenuta incubo che lo intrappola, per un incantesimo di LeChuck, subito dopo The Curse of Monkey Island, perciò in continuity con la cronologia lucasiana. C'è un legame tematico con le ossessioni narrative/biografiche di Guybrush viste in Return, e l'inevitabile paragone col ritorno di Ron Gilbert alla serie mi confermano quanto poco effettivo fanservice ci fosse in Return: la vera fiera del fanservice è questa, è in Legend.

In virtù dell'escamotage narrativo, Mêlée e Monkey sono letteralmente ferme nel tempo: persino nella Villa del Governatore ci sono i resti della celebre rissa dietro al muro. I dialoghi, quando non rimasticano o citano apertamente quelli di Monkey 1, sono abbastanza divertenti e funzionali all'idea di omaggio nostalgico. Riprendendo quanto scrissi per Return, sulla nostalgia critica, questa è appunto la nostalgia restaurativa. Non certo dal punto di vista estetico professionale, ma nei contenuti Legend sembra la tipica espansione dei fangame, che puntano a celebrare un mito senza interrogarlo, senza tentare carte destabilizzanti o demolitorie (che sono invece per me una buona parte dell'identità della serie). Più che riflettere sul significato di Mêlée e Monkey per Guybrush e per noi, come ha fatto Gilbert in Return, il valore è al massimo nel poter entrare in luoghi un tempo preclusi... oppure nel guardare da un'altra angolazione vedute familiari.

In ogni caso, evitando Guybrush come protagonista, Legend non potrebbe mai giocare carte diverse da questa: non consentendoci di controllare lui o un personaggio della serie, se ci avessero fatto interagire con personaggi mai visti in location inedite, l'identità di Monkey Island sarebbe stata praticamente azzerata. Una proposta come Tales non correva questo rischio, pur essendo l'unico titolo della serie a non riproporre l'isola di Monkey: non solo controllavamo Guybrush (e quello bastava), ma le dinamiche tra i personaggi storici erano messe in discussione e ricaricate dalla curiosità. Se alzi la posta in gioco, puoi lasciarti alle spalle Mêlée, altrimenti appunto non rimane che il "parco a tema".

Un'occasione pur sempre speciale e rispettosa
Queste caratteristiche di Legend of Monkey Island potrebbero essere limiti o puri elementi caratterizzanti: a tanti fan della saga interessa poco la dimensione più metanarrativa che Gilbert adora, per cui li capirei se preferissero la leggerezza più "lucasiana" di questa scampagnata nel mito, pensata con molta umiltà e affetto dalla Rare. Fanservice o meno, non tutte le citazioni sono scontate, e un dialogo in cui si parla del linguaggio SCUMM senza mai nominarlo mi ha fatto sorridere, perché se ne sottolinea l'importanza storica con tenerezza. L'aspetto grafico, va sottolineato figlio diretto com'è ovvio di Sea of Thieves, è sempre cartoon ma molto meno estremo (e più anonimo) di quello firmato da Rex Crowle per Return, e ho notato sui social che è bastato questo ad addolcire diversi appassionati, nonostante questo sia un Monkey Island assai meno tradizionale di Return... ammesso che si possa persino definire "un Monkey Island"!

C'è da riconoscere che il gameplay non piega la saga a Sea of Thieves: si risolvono enigmi (più nel primo e nel terzo atto, che nel secondo), si raccolgono oggetti nell'inventario (non combinabili), ci sono piccole sequenze d'azione, ma poco sulla carta è molto lontano dalle situazioni alla Guybrush, se non una manciata di puzzle da risolvere con l'uso più "fisico" di alcuni oggetti/armi tipici di Sea of Thieves: in due casi si espandono in chiave action le meccaniche di base al circo dei Fettuccini e durante i duelli a insulti, senza però negarle. Nel terzo atto c'è una battaglia navale d'azione, questa proveniente in tutto e per tutto da SoT, ma è possibile risolverla da soli tenendosi al timone e lasciando che chi di dovere faccia fuoco.

La sfida acrobatica di Legend sta nel cercare di essere essere un'avventura grafica moderna abbastanza tradizionale in prima persona, con qualche contaminazione dinamica, guidata il giusto, senza picchi e con qualche lungaggine. Purtroppo la struttura sulla quale poggia non appartiene a quel genere, e paradossalmente quanto più i designer vogliono omaggiare quello stile di gioco, tanto più i problemi vengono a galla. Specialmente nell'assai dispersivo e non lineare terzo episodio su Monkey, il salvataggio tramite checkpoint è una iattura: un'avventura surreale prevede esplorazione e sperimentazione, però girare a vuoto (magari perdendosi nella giungla), percorrendo chilometri su chilometri senza combinare nulla, perdendosi magari un'interazione per un pixel-hunting redivivo, potrebbe portare a sventolare bandiera bianca. Specialmente con la prospettiva di dover ripartire dall'ultimo checkpoint se non si è raggiunto il successivo. I primi due atti mi sono durati tra le due e le tre ore, del terzo ho perso il conto a causa degli sfibranti tempi morti, peggiorati dal doversi spostare chilometri per riprendere oggetti misteriosamente non collocabili in inventario e deperibili.

Allargando lo sguardo, comunque la si pensi, l'operazione intera ha senso. Dopo aver ospitato una "Storia assurda" dedicata ai Pirati dei Caraibi, Sea of Thieves ha respirato via via sempre di più la stessa aria culturale di Monkey Island: in Legend il buon Murray divide la scena con un altro teschio parlante proveniente proprio dall'altra espansione, confermando quanto sia naturale questo matrimonio. Le avventure grafiche inoltre non potrebbero mai raggiungere un pubblico di milioni e milioni di potenziali utenti come quello di Sea of Thieves, però Legend incunea gratis le dinamiche dell'adventure game in un universo persistente, in un genere contemporaneo. Monkey Island insomma ottiene con questo stratagemma un'esposizione da tripla-A che penserei impossibile altrimenti per i punta & clicca, nella loro forma classica ormai solo "indie". Peccato che la potenziale diffusione del verbo avventuriero e monkeyislandiano si scontri qui con la logica dell'esclusiva Windows e Xbox, una pesante contraddizione. Sinistro poi pensare che un'esperienza legata comunque ai server di un gioco online, possa sparire nel nulla quando Sea of Thieves, che nel 2023 ha già cinque anni sul groppone, verrà dismesso, lasciando solo ai longplay su YouTube la testimonianza della sua esistenza.
Sono contento che Legend of Monkey Island unisca noi della vecchia guardia a un pubblico più vasto. L'esperimento non darà tuttavia i frutti sperati se non si spiegherà ai giocatori di SoT, eventualmente interessati a recuperare i titoli classici, che l'avventura grafica vera e propria contemporanea alcune frustrazioni di fruizione se l'è fortunatamente lasciate alle spalle.

Guida pratica per giocare in single player
Sea of Thieves è un'esperienza multiplayer online, ma per vivere The Legend of Monkey Island non è necessario affrontarla in questa maniera. Ecco passo dopo passo cosa dovete fare per entrare nelle "Storie Assurde" ("Tall Tales") di Monkey Island, minimizzando / azzerando lo stress da MMO. ;-)