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Un'intervista con Hal Barwood

Una chiacchierata con l'eclettico artista dietro al migliore Indiana Jones videoludico
(Click here for the English version)

by Diduz

Ci sono due ragioni per cui Hal Barwood merita la vostra attenzione. Se amate Indiana Jones e i videogiochi come faccio io, sarete felici di realizzare che Hal è stato il vero papà videoludico di Indy: ricordare Indiana Jones and the Fate of Atlantis (che compie 30 anni nel 2022!) è scontato, mentre liquidare Indiana Jones e La Macchina Infernale (1999) potrebbe essere considerato un reato. Ma questo è solo un aspetto della storia, perché c'è una seconda ragione per ammirare Hal: dopo la sua solida carriera nel cinema, ha avuto la forza di reinventarsi come un game designer di successo. In tutto questo non ha mai perso la sua fiducia nella narrazione, lineare o interattiva che sia.

Quando sei entrato alla Lucasfilm Games e nella "SCUMM University", il tuo trascorso e la tua esperienza erano molto diversi da quelli dei tuoi colleghi. Come ti sei trovato in quel gruppo di persone? Ti hanno accettato da subito? Erano curiosi? Ti sei mai sentito per un po' fuori posto?

Avevo passato dieci anni intrecciando la mia carriera cinematografica con lo studio necessario a un lavoro nel mondo dei giochi, ci speravo. La Lucasfilm Games (presto LucasArts) bussò alla porta e io l'aprii. Per quanto riguarda la mia preparazione in campo software, avevo già fatto un bel po' di programmazione, incluso un RPG per l'Apple II scritto in assembly per il processore 6502. Quindi la SCUMM University non fu nulla di che. Lo SCUMM era impostato nello stile del linguaggio C, che mi era familiare. La cosa difficile era che mi sentivo fuori posto. Tutti quelli che mi circondavano erano più giovani di una generazione, mi sentivo spesso un vecchio. Alla fine mi sono fatto degli amici nella compagnia, tutte persone che avevano l'età dei miei figli. Era un po' strano. Mi comportavo con loro come fossero miei coetanei, invece ai miei figli dicevo cose tipo "Non parlare così a tua madre!"

Ho trovato tre credits divertenti che ti riguardano in alcuni giochi su cui non hai lavorato: "Con la partecipazione straordinaria del regista cinematografico Hal Barwood" (in The Secret of Monkey Island), "Scena d'apertura aggiustata da Hal Barwood" (in Day of the Tentacle) e "Ha detto che era una buona idea: Hal Barwood" (in Full Throttle). Sono solo scherzi o c'è qualche storia interessante dietro?

Sai, professionalmente non sono uno timido, forse ho offerto un suggerimento o due che fu preso più o meno bene. Ora quei credits mi sembrano un po' aggressivi, ma naturalmente sono anche giocosi.

Sei tu quello lì, intento a confezionare scatole di The Secret of Monkey Island?
[foto da Oldgamesitalia]


Sì, la dirigenza ci disse che dovevamo registrare l'invio di un prodotto nella nostra contabilità entro il giorno dopo, quindi un sacco di noi rimasero tutta la notte a esercitarsi con un diverso aspetto dello sviluppo di videogiochi all'epoca: le merci confezionate. Mamma mia. Fa capire quanto fosse amatoriale il nostro settore una trentina d'anni fa.

Indiana Jones and the Fate of Atlantis è un sequel dei film, ma è anche un sequel del precedente Indiana Jones and the Last Crusade - The Graphic Adventure di Ron Gilbert, David Fox e Noah Falstein (che progettò poi Fate con te). Immagino che l'abbiate usato come punto di partenza per Fate of Atlantis: cosa vi piaceva del precedente punta & clicca? Cosa volevate modificare o migliorare?

Non si può rispondere a questa domanda in poche frasi. Volevo almeno realizzare un gioco che ne fosse un degno successore, ma naturalmente avevo anche l'ambizione di spingermi oltre. Ero grato ai Signori dello SCUMM per aver creato il movimento di un personaggio in profondità, e per l'interfaccia con i verbi e le icone. Vi aggiunsi elementi action-adventure (corse in cammello, giri in mongolfiera, ecc.). A parte quello, inventai una maggiore varietà di enigmi, cucinai una storia originale adatta alla bisogna e - contariamente alle Leggi SCUMM - fu concesso a Indy, quello scavezzacollo, di fare cavolate e morire.

La struttura dei tre percorsi in Fate of Atlantis fu una grande idea, dal punto di vista del gameplay. Considerando che le avventure grafiche attuali tendono di più ai bivi narrativi, sono curioso di sapere il tuo punto di vista sull'effetto che quella decisione ebbe sulla narrazione di Fate. Io per esempio scelsi il "percorso Team" la prima volta che giocai, quindi per me quello divenne il "canone". Riattraversai il gioco con gli altri percorsi, ma avevo la sensazione che fossero come delle "retcon", per così dire.

Il mio co-designer e (adesso) vecchio amico Noah Falstein inventò quei tre percorsi che mi tennero sveglio la notte per mesi, per farli funzionare. Noah sapeva, dal feedback ricevuto per Last Crusade, che i nostri giocatori avevano gusti differenti e voleva accontentarli tutti. Comunque, solo i completisti volevano davvero attraversare tutti e tre i percorsi. Ma anche così, i percorsi riciclavano vari elementi in modo diverso, per poi convergere quando il giocatore arrivava ad Atlantide. Si sa: i costi, il tempo a disposizione... *sigh*

Per me Sophia Hapgood è il miglior personaggio femminile nell'universo di Indy dopo Marion Ravenwood. In lei c'è un'eco di Marion, ma è comunque originale e divertente. L'avete resa non solo importante nella storia, ma anche controllabile in alcune sezioni del gioco. Avete sempre avuto quest'idea? L'avete creata appositamente per avere un altro personaggio da controllare?

Grazie per le belle parole su Sophia. Sì, Noah e io volevamo tutti e due un'esperienza a più voci. Ma è importante perché volevo raccontare una storia credibile, per quanto fantasiosa fosse.

 

 

Mi sembra d'aver capito che fosti il principale (se non l'unico) autore dei dialoghi di Fate of Atlantis. In quale modo l'interattività e i dialoghi ad albero hanno influenzato il tuo tradizionale approccio alla scrittura, abituato alle sceneggiature? Programmasti tu stesso i dialoghi? Ron Gilbert ha detto spesso che creò lo SCUMM Story System anche per aprire la programmazione dei giochi a chi non programmava di professione. Teoricamente, uno script SCUMM doveva essere leggibile quasi quanto un copione cinematografico. Pensi che il suo obiettivo fu raggiunto?

Scrissi la maggior parte dei dialoghi di Fate, ma non tutti. Per via delle scelte multiple, cioè quella forma di enigma basato sulle parole, la quantità minima di chiacchiere per raccontare la storia triplicava. Il sistema incoraggiava l'immaginazione dei giocatori, mentre consideravano le alternative. È un arricchimento che non trovi in un film, dove una severa compressione dei dialoghi è essenziale, ma lo trovi a volte nei libri, che sono più estesi e dove si può parlare di più.
Il codice SCUMM è piuttosto astratto, ma in fondo, agli occhi di chi non è abituato, una sceneggiatura fa lo stesso effetto.

Indiana Jones and the Fate of Atlantis fu la seconda avventura grafica con l'iMUSE, che forniva una colonna sonora continua e adattiva. Hai detto molto la tua sul sapore musicale del gioco? Come lavorasti con Michael Land, Peter McConnell e Clint Bajakian?

Adoro quei ragazzi. Sono tutti super-intelligenti, artisti e programmatori, tutti maturi, tutti disposti a rispondere alla mia infinita sequenza di ingenue domande musicali. Lavoravano sull'iMuse, sulla musica interattiva, dove il ritmo o l'atmosfera delle situazioni di gioco, dipendenti dall'input del giocatore, attivavano variazioni sulla colonna sonora. Alcuni degli effetti erano sottili e nemmeno si notavano. La cosa che funzionò davvero in Fate furono le percussioni che partivano quando Indy si muoveva e s'interrompevano quando si fermava. Il risultato era propulsivo e misteriosamente meditabondo. E semplicistico, non proprio l'intreccio complesso che avevano in mente, mi sa.

Per me il tuo prezioso lavoro su Indiana Jones alla LucasArts ha reso il personaggio indipendente da Harrison Ford. Di recente la Lucasfilm ha annunciato che i loro personaggi classici non avranno un recasting, quindi il quinto film di Indy potrebbe essere l'ultimo! Hai già dimostrato che Indiana può esistere al di là di Harrison: pensi che un altro attore potrebbe interpretarlo sul grande schermo?

Ma certo, e se la Disney vedrà una quantità di soldi sufficiente danzare nella sua immaginazione, succederà. Si può fare Indy più giovane, oppure andare avanti nel tempo. Dr. Who e 007 non hanno avuto alcun problema.

Negli anni Novanta, tra Fate of Atlantis e La Macchina Infernale, progettasti giochi più piccoli come Indiana Jones and His Desktop Adventures e Yoda Stories. I giochi procedurali oggi sono molto comuni, ma penso ancora che quei titoli "casual" fossero unici, perché sperimentasti con la narrazione procedurale, che mi suona come un vero mal di testa! Quale fu la tua strategia di design?

Odio i giochi lunghi. Il grinding è noioso, lo è la sola idea. In quei lontani giorni alla LucasArts, i giochi costavano un sacco di soldi e le compagnie (non solo la LucasArts) si sentivano in obbligo di rispettare un rapporto quantità-prezzo. Io volevo un'esperienza ricca, ma una che si potesse spezzare in piccole dosi complete, aperte alla rigiocabilità. Quindi inventai il genere "casual game" prima che il termine esistesse. Nessun altro nella compagnia mostrava il benché minimo interesse, quindi provai le mie idee mettendo su un prototipo in quel c**** di HyperTalk su un c**** di Mac Classic, poco prima che lo schermo mi abbandonasse. Sono ancora affezionato a quelle cose, specialmente Yoda Stories, che aveva un design più evoluto. Avremmo dovuto farne di più.

In Indiana Jones e La Macchina Infernale (un gioco incredibilmente sottovalutato, secondo me) Indy affronta elementi che si possono considerare "quasi fantascientifici". È un terreno sdrucciolevole per una serie che cominciò con la ricerca dell'Arca dell'Alleanza... eppure, gestita da te, quell'angolazione ha funzionato molto meglio che nel Teschio di Cristallo. Qual è stata la tua ricetta per piegare il marchio... senza spezzarlo?

Giusto per assicurarmi che la mia patente di geek sia in ordine, sia chiaro che, come molti di voi, detesto il Teschio di Cristallo. Penso si sia cacciato nei guai perché il MacGuffin / antico artefatto alla base di tutta l'impalcatura è totalmente fantascientifico sin dall'inizio. Perché non hanno scelto Roswell? Almeno ci sarebbe stato un elemento storico. La Macchina Infernale invece comincia con lo scavo presso un famoso e reale luogo archeologico, e il MacGuffin che ne emerge è biblico. Poi si piega verso il fantasy e l'horror (come succede nei film: pensate a quel che viene fuori dall'Arca!).
Volevo anche liberarmi dei Nazi, quei fessi al passo dell'oca col loro "Heil!", andare oltre. I comunisti... perché no?

Ho sempre considerato La Macchina Infernale complementare a Fate of Atlantis. Quest'ultimo ha più il sapore di un film, mentre La Macchina Infernale assomiglia più a un... "simulatore di Indiana Jones"? Se sono riuscito a spiegarmi, hai considerato questa differenza mentre preparavi La Macchina Infernale?

Persi (momentaneamente) interesse nelle avventure grafiche non appena finii Fate. I giochi che mi piacevano erano tutti action-adventure, con molti combattimenti. La macchina infernale era il risultato della mia sensibilità affamata di azione.
P.S.: Rigiocando La Macchina Infernale sono riuscito a uccidere duecento e più Russi nel mio tragitto verso la vittoria. Che roba. Ora lo progetterei in modo diverso.

Amavo i grandi livelli esplorabili delLa Macchina Infernale, e amavo le location urbane di Fate of Atlantis, col suo cast di personaggi. Credi che un gioco di Indiana Jones potrebbe mai combinare queste due anime in un prodotto solo?

Oh sì. Grand Theft Jones!

Sono sicuro che l'avvento del 3D nei videogiochi dev'essere stato particolarmente interessante per un cineasta. Come hanno interagito (o litigato!) il regista e il game designer nella tua mente, quando lavoravi su La Macchina Infernale e RTX: Red Rock?

"Interessante" è limitativo: costruire giochi in 3D è una gran fatica. Amo le storie, amo la narrazione, ho progettato entrambi i giochi considerando i livelli come capitoli. Un'esperienza open world forse avrebbe funzionato meglio, specialmente dal punto di vista commerciale... ma chi lo sa? Comunque queste elevate considerazioni estetiche dovevano piegarsi al pragmatico orrore dello smanettamento sui pixel. Costruire gli engine per quei giochi fu interminabile (avremmo dovuto acquistarli da terze parti). La Macchina Infernale poteva visualizzare 5.000 poligoni in un frame, con Red Rock eravamo sui 25.000. Non abbastanza, la mia attenzione fu spostata dal design alle difficoltà produttive. Ma mi sono rilassato. Quello che per anni mi è sembrato una cacata ora mi appare piacevolmente retrò.

Mi incuriosiscono i giochi di Hal Barwood che non hanno mai visto la luce. Facendo ricerche ho letto di tre progetti che non sono mai entrati in produzione: 1) Un film interattivo che girava dai nastri VHS (!!!), alla fine degli anni Ottanta; 2) Un'avventura in full-motion-video chiamata Rapid Transit; 3) Un'avventura grafica di Star Wars, The New Emperor. Potresti descrivere brevemente questi progetti? Quali erano i loro punti di forza?

Il VHS... poteva funzionare. Dragon's Lair era un'idea molto simile, con Dirk the Daring che saltava da una traccia all'altra del laser disk (poi dvd), che girava sempre. (Nota al margine interessante: i font del logo di Dragon's Lair furono rubati dal logo che David Bunnett fece per il mio film, Il drago del lago di fuoco.)
Ricordi quel breve momento storico in cui il termine "multimedia" ebbe un significato? Volevo creare avventure grafiche un po' più fluide di com'erano. Rapid Transit era così. Parlava di un treno urbano che spariva in un'altra dimensione, sotto la Baia di San Francisco. New Emperor era il mio modo di mandare avanti nel tempo l'universo di Star Wars, invece che indietro. Avreste guidato C-3PO, perfetto! Ognuno di quei giochi avrebbe spinto quest'arte in avanti, ma le vendite delle nostre avventure all'epoca erano scarse, quindi non si fecero.

Negli ultimi dieci anni hai scritto romanzi. Sei sempre stato uno scrittore, quindi non penso che per te sia esattamente una forzatura... eppure... come ti sei adattato a creare intrattenimento SENZA l'immagine, che è stata alla base di gran parte della tua carriera?

Beh, progetto e produco ancora tutte le mie copertine! Seriamente, quando priva di effettive illustrazioni, l'idea alla base della parola scritta è stimolare la mente del lettore. Credo che il saggista John McPhee l'abbia spiegato nel modo migliore: "I lettori sono il tuo partner creativo. Devi solo lanciar loro una mezza dozzina d'immagini e completeranno la tela intera."