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Chi me l'ha fatto rifare?

Qualche pensiero su restauri e remake videoludici

by Diduz

Tra il 2009 e il 2010 noi lucasdeliranti avevamo avuto un nostro primo personale assaggio della dilagante tendenza del remake/remaster videoludico: ciò avvenne con la Monkey Island Special Edition e con la Monkey Island 2: Special Edition. Con l'uscita nel 2015 della Grim Fandango Remastered e l'annunciata prossima rivisitazione di Day of the Tentacle, è ormai giunto il momento di ragionare sul fenomeno, anche per capire come porci. Per farlo, ho deciso di usare come bussola le corrispondenti esperienze in campo cinematografico: so bene che parliamo di due mezzi differenti, ma sarà un buon punto di partenza. Imposto il discorso operando una distinzione fondamentale, in ambito videoludico ancora piuttosto confusa.

Restauro

In ambito cinematografico, il restauro di una vecchia pellicola significa avvicinarsi il più possibile a restituire la qualità visiva e sonora che il film aveva al momento dell'uscita. Il processo può rivelarsi più o meno complesso, a seconda dell'anzianità del materiale e delle condizioni del negativo originale (quando il negativo è reperibile!!!): pulizia anche fisica dei supporti con bagni speciali, scannerizzazioni della pellicola e ritocchi digitali, correzione colore, ricostruzioni digitali di fotogrammi mancanti, eliminazione del fruscìo nell'audio e via così. Qual è lo scopo del restauro? Preservare l'opera d'arte contro l'usura del tempo, cogliendo l'occasione per riproporla in una veste tecnica all'altezza di una fruibilità contemporanea.

Quando Alfred Hitchcock ha girato La finestra sul cortile non avrebbe mai nemmeno immaginato che un giorno potessero esistere i dvd o i Blu-ray (nemmeno i VHS, se è per questo!).

Il lavoro del restauratore James C. Katz ci permette oggi di godere del suo capolavoro con una resa che annulla la distanza del tempo, pur con mezzi e supporti diversi. Il restauro ha un suo costo e, pur partendo da intenzioni non selvaggiamente commerciali, punta in qualche modo a recuperare i soldi investiti con uscite home video o in sala, a circuito molto limitato: gli incassi previsti di questo tipo di riedizione restaurata non sono comunque mai paragonabili a quelli di un prodotto nuovo, salvo rarissimi casi.
In ogni caso, il restauro ha un vantaggio sul suo concorrente più steroideo, il remake, perché non modifica in alcun modo né sostanza né forma dell'opera originale. In altre parole l'opera, per essere recepita correttamente, necessita di un filtro culturale che la contestualizzi nel periodo in cui è stata realizzata. Quando Ingrid Bergman abbraccia Humphrey Bogart in Casablanca, un mortaio risuona in lontananza, e lei: "Colpi di cannone? O è il mio cuore che batte?" Difficile trattenere un sorriso con un animo del 2015, ma il film testimonia un'epoca, insieme alla sua fotografia, al suo rapporto d'immagine quadrato, al bianco e nero, all'assenza di riprese in steadycam e... ci siamo capiti.

Per la sua natura digitale, il videogioco presenta problemi differenti, ma anche vantaggi ad esso esclusivi. La velocità di obsolescenza dei supporti atti a farlo funzionare è immensamente superiore a quella del cinema, eppure, almeno per quanto riguarda il materiale che girava sui vecchi PC e sulle vecchie console (grossomodo per tutta l'epoca DOS e fino alla PS2), possiamo godere di un restauro automatico. Mi riferisco ovviamente agli emulatori come DOSBox, ma anche agli interpreti come ScummVM o alle cosidette "source ports" per tanti FPS molto amati come Doom. Lavori eccellenti che automatizzano il processo di restauro, fornendoci i mezzi per impostarlo. Esistono ovviamente titoli nel limbo come i giochi Windows dell'epoca Windows 95/Windows 98, spesso estremamente capricciosi quando non asinini sulle macchine moderne, ma già adesso c'è chi coraggiosamente si avventura in territorio macchine virtuali.

Cosmo's Cosmic Adventure e Mean Streets, "restaurati" con DOSBox e distribuiti su GOG

C'è un problema, però. Rispetto ai restauri cinematografici, i restauri "automatizzati" videoludici presuppongono che l'utente possieda metaforicamente "il negativo" (cioè i dati originali) e che sia disposto o abbia voglia di smanettare con le configurazioni per recuperare al meglio l'esperienza originale. In caso di uno ScummVM l'avviamento è abbastanza facile, ma per esempio DOSBox è decifrabile da chi l'epoca DOS l'ha vissuta, e i suoi settaggi possono risultare ostrogoto puro per un ventenne. Da questo punto di vista, un portale come Good Old Games, che preconfigura DOSBox e ScummVM (non sempre bene, però!), rappresenta la metà distributiva del processo di restauro, completandolo con promozione, fornitura dei dati originali ed eventuali extra (il discorso vale anche, in misura minore, per Steam). Superato quest'ultimo scoglio, si può dire che il processo si sia compiuto, nel totale rispetto dell'esperienza originale: come per la visione di un film degli anni '40, bisognerà accettare forma mentis e limiti dell'epoca, dalla difficoltà più elevata all'interfaccia meno immediata, dalla grafica antidiluviana alle musiche midi. Uno sforzo, ma anche una storicizzazione consapevole, come avviene per l'appassionato di cinema.

Equivalenza d'ingenuità: Montezuma's Revenge (1984) e King Kong (1933)
si possono apprezzare solo contestualizzandoli storicamente

Le strade di cinema e videogiochi divergono tuttavia in un aspetto. Il restauro automatizzato esclude la possibilità che la riproposta storica e culturale si diffonda nel modo più ampio possibile. Un gioco pensato per il pad di una precisa console avrebbe bisogno di un adattamento dei comandi per il PC, così come al contrario un'avventura pensata per il mouse necessiterebbe di una revisione del sistema di controllo su console o tablet. Se un film è restaurato, è reso disponibile attraverso il maggior numero possibile di canali (digital download, streaming, dvd, Blu-ray), rimanendo sempre uguale, perché vi si interagisce usando una dotazione hardware molto standard: occhi, mente e orecchie! In zona videogiochi, l'esperienza multipiattaformica rimane un argomento spinoso, anche perché molti generi rimangono legati a determinate macchine, a dir il vero più per tradizione e abitudine che per effettivi limiti tecnici delle macchine in questione. Il mondo console negli ultimi anni si è per esempio avvicinato molto a quello PC, per connettività, flessibilità di offerta grazie al digital-delivery, memorie di massa più capaci e, cosa da non sottovalutare, alta qualità dell'immagine grazie ai moderni televisori HD, quasi indistinguibili da un monitor. Per non parlare del mercato tablet, una realtà che chi punta ai grandi numeri non può più ignorare.
Questo argomento ci permette di muoverci allo stadio successivo della riproposta, il temuto...

Remake

In ambito cinematografico il remake nasce come rilettura dell'originale, con la vaga idea di aggiornarne l'essenza per un pubblico contemporaneo. Si dice spesso che l'operazione sia un "omaggio", con la volontà di potenziare un'idea sempreverde, ma ritengo che sia una verità molto parziale. A mio parere il remake (per non parlare della sua variante, il reboot) è soprattutto un modo di continuare a mantenere attiva una costosa industria, facendo leva sul marketing spontaneo rappresentato dal ricordo dell'opera originale. Si potrebbe benissimo raccontare una nuova storia con protagonista un uomo ricostruito bionicamente dopo una violenza, e la si potrebbe chiamare in qualsiasi maniera: ma se l'intitoli Robocop, una parte del pubblico si offenderà a morte, ma tutti comunque la noteranno. Le grandi aziende commerciano in marchi, investono in marchi, perché i marchi hanno un potere folle, sono vere e proprie calamite dell'attenzione. Il remake ha un costo molto più elevato del restauro, e per tale ragione combatte nell'arena del mercato reale, non in quello parallelo e di nicchia delle riproposte solo per affezionati. Un remake è un tagliando alla resa economica di un marchio, e come tale deve cancellare ciò che, in tecnica e in spirito, rende datato il prototipo: il filtro culturale e storicizzante che attivavamo per il restauro dovrebbe non essere più necessario.

In ambito videoludico il discorso è analogo, ma in questo caso si allarga anche alla modalità d'interazione. La Monkey Island 2 Special Edition non solo sostituisce del tutto grafica e sonoro, ma aggiunge all'esperienza un doppiaggio e una revisione dell'interfaccia più essenziale e nascosta, con l'estensione di un controllo diretto di Guybrush per chi gioca su console o con un pad. Tenendo inoltre presente le possibili difficoltà del giocatore odierno medio con un'avventura così complessa, propone un sistema di aiuti integrato. A questo punto la percezione del pubblico si sdoppia: chi ha giocato l'originale vivrà il remake come la possibilità di ritrovare della freschezza vera in ciò che già conosce, chi non l'ha mai giocato - con ogni probabilità molti possessori di Xbox 360, PS3 e iPad - lo scoprirà per la prima volta, direttamente così. Per questi ultimi il processo di sostituzione dell'originale sarà totale, con la vecchia versione attivabile vissuta dai nuovi arrivati come bizzarria archeologica, non pietra di paragone.

Prendiamo posizione?

Devo dire che gli esperimenti su me stesso hanno dato esito altalenante, anche se mi hanno consentito comunque di approdare a un teorema che almeno per la mia persona è valido al 100%: la mia capacità di accettare un remake è inversamente proporzionale all'imprinting positivo che ho avuto col titolo. Corroboriamo la tesi con alcuni esempi.

Io non riesco a giocare ai remake dei due Monkey Island. Ecco, l'ho detto. L'ho fatto una volta per scrivere le schede del sito, ma non li ho mai più nemmeno reinstallati! Ho trascorso tante di quelle ore con gli originali, tra Amiga e PC, che ormai la loro immagine si è sedimentata nei miei ricordi e persino nella mia storia personale: non c'è HD che tenga, non c'è doppiaggio che tenga, quando mi muovo nelle Special Edition sto giocando a un'altra cosa, in una continua e disorientante interferenza. Chiariamo: quando ho visto la mia ragazza finire divertita il remake di The Secret of Monkey Island sul suo iPad sono stato felicissimo. Sono felice che esista. Sono felice che si apra a un nuovo pubblico. Ma con me non funziona.

A dispetto di questo, sono stato un felice backer del remake di Wings ad opera della Cinemaware. Non che all'epoca l'originale per Amiga non l'avessi mai provato o visto girare, ma non l'ho mai davvero vissuto. Lo trovavo intrigante ma scomodo, con un 3D troppo rudimentale che strideva con la grafica bidimensionale gradevole della casa. Wings è rimasto quindi per me un'idea potenziale, non un'esperienza concreta, qualcosa che si conosce ma che non si ha avuto voglia di amare in quel momento. Insomma, il mio livello di imprinting con Wings era piuttosto basso, e il remake per me può prendere il posto dell'originale, nonostante coreograficamente si presenti così diverso. Per la stessa ragione, mi attira il remake di DuckTales per il NES: giocato brevemente da un amico che aveva la console, apprezzato, mai più ritoccato. Ergo, non sacro.

Un'esperienza diversa da entrambe mi è risultata la Gabriel Knight: Sins of the Fathers - 20th Anniversary Edition. Ho apprezzato l'originale, che ho terminato una sola volta quasi vent'anni fa, quindi si può dire che un imprinting l'avessi avuto. Tuttavia sarei propenso, se dovessi rigiocarlo ancora, a reinstallarne il remake. Perché in realtà l'imprinting non era stato del tutto positivo proprio su un aspetto che nel remake è stato migliorato: l'interfaccia, che ho trovato nella sua reincarnazione più fluida e veloce, nonché più onesta, dato che ora segnala le zone interattive delle schermate, mentre giocando all'originale in più di un caso mi ero impantanato nel pixel hunting. Qui palla al centro. D'altronde non va dimenticato che la stessa Sierra negli anni Novanta, in tempi non sospetti, produsse remake dei primi capitoli delle sue saghe di punta, aggiornandone non solo la coreografia ma anche appunto le interfacce: King's Quest I, Space Quest 1, Leisure Suit Larry 1, Quest for Glory 1 e Police Quest 1.

Ciò tuttavia suona sconfortante. La sintesi di questa disamina sarebbe quindi uno scontato "dipende"? Forse no.

...e a sorpresa giunse la via di mezzo

Mi sono imbattuto negli ultimi anni nel lavoro di due grandi autori, che hanno recentemente dimostrato l'esistenza di una terza via, pura prerogativa dei videogiochi, per creare una peculiare fusione tra restauro e remake. Mi riferisco a Eric Chahi con l'Anniversary Edition di Another World e al compianto Mike Singleton con la nuova versione di The Lords of Midnight. Se osserviamo una comparazione di screenshot, a uno sguardo disattento, le differenze non appaiono poi tante. Ma invece ci sono!


Entrambe le nuove versioni infatti presentano un approccio estetico che rispetta meticolosamente la direzione artistica e l'impatto dell'originale, fermando l'upgrade di grafica e sonoro prima che ne modifichi l'iconicità. Nessuna emulazione dell'Amiga o dello Spectrum, questi sono prodotti sul piano tecnico nuovi al 100%, in alta risoluzione, nativi Windows, iOS e via discorrendo. A guardare sotto la scocca, le modifiche ci sono: in Another World sono comparsi livelli di difficoltà selezionabili, in Lords of Midnight il movimento in soggettiva è fluido e non più a schermate, con in più una mappa attivabile a piacimento e la possibilità di cancellare le ultime azioni compiute. Entrambi i giochi offrono poi tutorial e hanno interfacce multiple (touch, dirette o via mouse). Rischioso? Azzardato perché i videogiocatori di oggi si aspettano la supergrafica? Andiamo, lo sappiamo che non è vero. Il mercato indie trabocca di produzioni di tutti i tipi, dal 3D al 2D, dalla pixel-art agli engine più complessi, dal pc alle console: perché ci si dovrebbe fare cambiare i connotati? Per confondersi con chi? Per entrare in concorrenza con chi?
Sapete qual è stato su di me l'effetto della nuova edizione di Another World, un gioco che su Amiga avevo giocato e amato parecchio? Ora sostituisce l'originale, perché l'originale lo avverto sempre lì, anche giocando con la grafica arricchita o ritoccata, senza spiare nei vecchi pixelloni attivabili. Il senso del peculiare, distintivo restauro videoludico è racchiuso in questi due lavori, aggiornati nella tecnica, senza mai confondere tecnica e sguardo.

La Double Fine di Tim Schafer, con il Grim Fandango Remastered, ha cercato di muoversi su questa strada. Come rovescio della medaglia, i risultati di tale riedizione ci fanno anche capire che, nel caso di giochi più pesanti in termini di asset rispetto a un Another World o The Lords of Midnight, si rischia di non poter mantenere a fondo questa intelligente visione. I fondali di Grim sono rimasti gli stessi, perché i modelli in Softimage originali erano irreperibili e non li si è potuti rirenderizzare in alta risoluzione; rifarli da zero era proibitivo per i costi, ed ecco quindi che l'operazione si è dovuta fermare a metà del suo potenziale, limitandosi ai personaggi in HD e ai ritocchi musicali, pur avendo al suo attivo nuove versioni (PS4, PS Vita) e qualche extra. Sperando di avervi dato l'opportunità di crearvi un'idea vostra, questa "terza via" mi sembra la più elegante e la più interessante, a patto che le condizioni produttive e lo stato del materiale originale consentano un lavoro completo, anche se la sua affascinante peculiarità ha un risvolto ambiguo.
Un'altra operazione del genere, Sam & Max Save the World, remaster della Sam & Max Season One dei fu-Telltale, ha infatti messo il suo sviluppatore Skunkape Games in una brutta situazione nel 2020, quando è stato deciso di ridoppiare un personaggio di colore in origine doppiato da un bianco che prendeva in giro la parlata da ghetto, cogliendo pure l'occasione per tagliare alcune battute del 2006 giudicate ormai sconvenienti. Al di là delle questioni ideologiche, è probabile che l'indignazione di molti utenti sia anche il risultato di questo peculiare tipo di riproposta: se fosse un restauro, il taglio sarebbe inaccettabile. Se fosse un remake totale, le modifiche peserebbero molto meno. Ma un prodotto del genere cos'è?

Ultima revisione: 12/2020